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Lo chiamavano Jeeg Robot

Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film

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Fanny Sally

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La recensione su Lo chiamavano Jeeg Robot

di Fanny Sally
8 stelle

La trama perfettamente in linea con un fumetto o un film superomistico non deve trarre in inganno perchè l’opera prima di Gabriele Mainetti è un film duro, violento, malinconico, realistico, stratificato, che concede ben poca ironia e leggerezza rispetto ai blockbuster d’oltreoceano.

In una Roma quantomai cupa e inquieta, minacciata da una serie di attentati dinamitardi, varie combriccole di malviventi si muovono nei bassifondi, contendensosi la gestione di traffici illeciti e arrabbattandosi tra piccoli crimini e regolamenti di conti.

Tra questi piccoli criminali c’è anche Enzo Ceccotti, ladruncolo schivo e solitario che un giorno, per sfuggire a due poliziotti che gli stanno alle calcagna si tuffa nel Tevere e entrando in contatto con alcune sostanze tossiche fuoriuscite da dei barili gettati sul fondo del fiume, si scopre in possesso di una forza e resistenza sovraumane. L’uomo, che vive da solo e non ha grandi aspirazioni per il futuro, decide di sfruttare queste sue incredibili potenzialità a proprio vantaggio, commettendo una serie di furti. Tuttavia si ritroverà a dover rivedere il suo modo di agire e pensare grazie all’incontro con Alessia, una giovane ragazza sensibile e schietta, ma mentalmente instabile, ossessionata dal personaggio di Jeeg Robot d’acciaio, che Enzo salverà da una brutta situazione, iniziando a stringere con lei un legame sempre più forte.

 

La trama perfettamente in linea con un fumetto o un film superomistico non deve trarre in inganno perchè l’opera prima di Gabriele Mainetti è un film  duro, violento, malinconico, realistico, stratificato, che concede ben poca ironia e leggerezza rispetto ai blockbuster d’oltreoceano, che tanto scalpore hanno prodotto negli ultimi anni nei botteghini mondiali; piuttosto omaggia con nostalgia lo spirito più adulto e agrodolce dei manga nipponici, in cui l’eroe spesso e volentieri cammina su quella linea sottile che separa la giustizia dalla criminalità, il bene dal male, e spesso agisce volutamente nell’ombra, senza cercare né fama né gloria.

 

Il protagonista, incarnato con grande intensità e al tempo stesso misura da un ottimo Claudia Santamaria - che sa esprimere nei comunicativi silenzi, nei gesti goffi e negli sguardi vuoti tutto il travaglio interiore del personaggio - è infatti un uomo tutt’altro che coraggioso, generoso o carismatico: è un tipo comune, taciturno, grezzo, asociale, apatico, incapace di coltivare amicizie o affetti, tutto chiuso nel proprio angusto isolamento. Non comprende pienamente il significato della sua nuova forza, se non quando casualmente inizia a sfruttarla per compiere delle azioni positive.

 

Il suo antagonista, Fabio Cannizzaro, detto Lo Zingaro, capo di una banda di narcotrafficanti, è invece il suo opposto: egocentrico, esibizionista, logorroico, arrogante e spietato, guidato dalla smodata ambizione di conquistarsi una fetta di popolarità nella società e tra i suoi pari, anche se ciò significa sacrificare le persone che conosce da una vita o fare delle vittime innocenti. Un personaggio all’apparenza scontato, ma invece ricco e ben caratterizzato nei minimi dettagli; davvero perfetto nel ruolo si è rivelato Luca Marinelli che regala allo spettatore almeno un paio di scene cult al pari dei più grandi villains del cinefumetto, ispirandosi in parte all’irriverenza folle del Joker in parte alle stravaganze delle ambigue icone pop degli anni ’80.

 

Altrettanto sorprendente e toccante è la prova dell’esordiente Ilenia Pastorelli, coprotagonista femminile abbastanza insolita e complessa, lontana dagli stereotipi del puro interesse romantico, incarna una figura di donna candida e sensuale, dolce e tenace, fragile e sincera, ferita ma ancora disposta a credere nel bene.

 

La narrazione ha un ritmo fluido e coinvolgente, molto equilibrata tra azione e momenti riflessivi, offrendo anche non pochi colpi di scena, mentre gli effetti speciali, di solito punto dolente nelle produzioni italiane, sono anch’essi ben gestiti, senza troppi orpelli, rendendo con efficacia i poteri del protagonista.

 

Un riluttante eroe metropolitano ancora in cerca della sua vera vocazione ma che ha sicuramente lasciato un segno nel cinema italiano degli ultimi mesi.

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