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Lo chiamavano Jeeg Robot

Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film

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La recensione su Lo chiamavano Jeeg Robot

di supadany
8 stelle

Gabriele Mainetti realizza l’opera che non ti aspetteresti mai. Partendo da un filone di successo ci costruisce attorno tutto un piccolo universo capace di risvegliare sensazioni anche riposte da tempo con una passione che spazia dall’amore per il cinema (tutto) in senso stretto all’affetto per i suoi personaggi, buoni o cattivi che essi siano.

A sdoganare il proficuo filone supereroi in produzioni italiane ci aveva provato un paio di anni fa Gabriele Salvatores “Il ragazzo invisibile” con risultati rivedibili; di tutt’altro tenore quest’avventura lunga anni del volonteroso ed appassionato Gabriele Mainetti che ha allevato la sua “creatura” con un’attenzione trasversale tanto da renderla (sorprendentemente) appetibile al pubblico di un po’ tutte le latitudini.

Un contenitore effettivamente ricco di possibilità che non lascia niente al caso anche quando si ammorbidisce proprio all’insegna di una completezza sintattica ed espositiva che comporta un pericolo ma anche un’occasione che per il parere di chi scrive è pienamente sfruttata.

La vita del piccolo furfante Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) cambia quando dopo una fuga viene contaminato da del materiale radioattivo e successivamente, dopo un incarico andato male, non può che sfruttare le sue nuove capacità per salvare Alessia (Ilenia Pastorelli) la sua giovane vicina di casa oltre che per alzare il tiro dei suoi furti.

La giovane, in fissa per la serie di Jeeg robot, s’infatua di lui, ma su di loro cadono le ire dello Zingaro (Luca Marinelli) non solo per una questione economica, ma proprio per la popolarità che Enzo sta riscontrando un po’ dappertutto.

 

Ilenia Pastorelli, Claudio Santamaria

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): Ilenia Pastorelli, Claudio Santamaria

 

Se solo pochi mesi or sono mi avessero chiesto se pensassi fosse possibile realizzare un film a matrice “supereroistica” in quel di Roma avrei risposto sicuramente con un secco “no”; ci pensa un regista esordiente a farmi completamente ricredere, senza produrne una copia carbone ma, com’è giusto che sia, la sua “versione” guarda, pescando bene, a diverse fonti, scelta basilare e capo d’opera.

Si tratta di un dispositivo “fantasy-realistico” (ossimoro vincente) che attorno a diversi stereotipi, che comunque traslati in Italia fanno un effetto un poco differente, costruisce un vero e proprio universo, con la città eterna impiegata egregiamente a partire da una carrellata volante in apertura (che da proprio la sensazione di volo di “tetto in tetto”) per poi navigare nella polverosa, sudicia, a volte abbandonata, periferia e calarsi, con senso pratico, in costruzioni simbolo della città.

L’eroe per caso, non per altro criminale per natura, che vive tra yogurt e porno, una ragazza segnata dagli eventi racchiusa nel suo microcosmo manga ed un piccolo folle boss pronto a tutto per ottenere ciò che vuole, costituiscono un tridente di protagonisti che si estende tra svariati percorsi narrativi e veri sottotesti, tra un disagio derivato da un vissuto non raccontabile (ma reso molto chiaro), l’esigenza di apparire (=contare) che sia tramite visualizzazioni Youtube o un graffito, squarci “a la Suburra” con la Roma delle sparatorie (manca solo la pioggia), un’incursione anche terroristica (oggi una bomba ha un effetto psicologico evidente) e soprattutto il cuore di saper trattare un tenero romanticismo sbilenco con due numeri primi che si trovano tra le reciproche difficoltà di un fato che non ha mai fatto loro sconti.

Tutte queste diramazioni non sono mai abortite ma anzi portate a definitivo compimento, l’arte dell’arrangiarsi permette anche una più che dignitosa rappresentazione del versante “fantastico” (volere è potere, signori) probabilmente il lato più ingenuo, anche per la natura stessa del genere, è quella del duello soprannaturale (anche perché ci si trovano le maggiori incertezze dello script), ma in questo caso si “copia” discretamente bene e si arriva in porto chiudendo senza voler sistemare ogni coccio, definendo il tiro e lasciando aperta una porta al futuro (sequel?) senza lasciare la sensazione di incompiutezza.

Non ci resta che sperare che gli orizzonti siano rosei, l’opera se lo meriterebbe, perché è matura ed anche spiritualmente nerd (e capitolina), capace di giocare con l’ironia e ferirti dietro un sorriso innocente nell’arco di una manciata di minuti, vissuta da una coppia d’attori di gran resa (Claudio Santamariabisonte” insicuro in trasformazione e Luca Marinelli in versione “Joker”, strepitoso) con un dosaggio appropriato (giusto per non scontentare nessuno) della componente “fantastica” ed un innesto del “romanaccio” che conferisce al personaggio di Alessia (Ilenia Pastorelli tra manga, tenebre e sogni) quella familiarità in più che farebbe venir voglia di prendersi cura di lei.

Quando le idee (tante) permettono di andare ostinatamente contro i limiti del cinema italiano prende corpo un piccolo (grande) miracolo creativo. 

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