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La volpe - Cuore selvaggio

Regia di Michael Powell, Emeric Pressburger vedi scheda film

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La recensione su La volpe - Cuore selvaggio

di Utente rimosso (SillyWalter)
9 stelle

Quello messo in scena da Powell e Pressburger potrebbe essere il posto da cui i simboli sono usciti originariamente, un universo senziente in cui tutto è in fermento e nulla vuol rimanere confinato nelle sue sembianze.

 

 

       Fine diciannovesimo secolo. Hazel e il padre vivono da sempre isolati nel verde delle colline dello Shropshire, ai confini tra Inghilterra e Galles. Il padre alleva api, fabbrica bare e accompagna con l'arpa il canto della figlia in occasione di fiere e feste di paese. Hazel è una ragazza vivace, ingenua, spesso infantile. Ha per migliore amica una volpe di nome Foxy, che deve proteggere dalle tradizionali battute di caccia che a volte inondano la zona. La madre di Hazel era una zingara e le ha lasciato un forte senso di comunione con la natura e diverse fervide superstizioni. 

        Di ritorno da un giro in città Hazel viene quasi investita dal calesse di un possidente del luogo, Jack Reddin, che le dà poi un passaggio sino alla sua villa, la incanta con vestiti variopinti e tenta di sedurla. Dopo un bacio strappato a forza Hazel però fugge via, grazie anche all'aiuto del morigerato maggiordomo/tuttofare di Reddin. In seguito, ad una festa religiosa conosce Edward, mite e comprensivo pastore protestante che s'innamora di lei a prima vista. Edward sa che Hazel ha giurato su una montagna per lei "sacra" di sposare il primo che le si proporrà e sfrutta la circostanza per portarla subito all'altare, promettendo però a Dio che non la forzerà mai a fare quello che non vuole. Nel frattempo Reddin non ha smesso un attimo di cercarla. La ritrova che ormai è troppo tardi ma da un bacio capisce che anche lei prova qualcosa così le chiede di lasciare il neosposo volontariamente, cosa che Hazel fa anche perché persuasa da presunti segni soprannaturali. Il tempo passa ed Edward si consuma tra rabbia e preoccupazione. L'intera comunità (compresa sua madre), pur sapendo dov'è Hazel, lo tiene all'oscuro perché nessuno vede di buon occhio lo scandaloso ritorno. Quando infine Edward viene a sapere che Hazel è alla villa di Reddin senza indugio decide di andare a strappare la volubile moglie dalle mani del rivale. 

 

 

        Volutamente sfolgorante ed eccessivo, forse troppo sbilanciato a favore della forma ma anche decisamente un film unico disseminato di meraviglie uniche. Un'amalgama carica di sorprese, carica di colori accesi, di finezze sonore e omaggi alla forza di suggestione della natura. All'apparenza può sembrare un piccolo melodramma convenzionale dall'impalcatura esile, ma nello spazio lasciato libero da eventuali complessità di trama il film si sviluppa in altezza e profondità gonfiando le scene con tinte, luci e composizioni di enorme impatto. 

        La suggestiva e multiforme colonna sonora di Brian Easdale (che spazia dalla sottigliezza arcana alla più tempestosa magniloquenza) è la prima a prendersi l'attenzione sui titoli di testa con il notevole tema drammatico che incorpora corni, segnale e simbolo di caccia, e arpa a rappresentare invece il coté sinistro/fantastico. Dopodiché resta solo il suono largo del vento (che tornerà protagonista solitario in più occasioni) e i paesaggi al tramonto percorsi di fretta da Hazel che cerca la sua volpe vagabonda. Hazel che si staglia sull'orizzonte in pose che riflettono quelle degli alberi e che corre poi con Foxy in braccio a rifugiarsi a casa mentre attorno a lei il paesaggio comincia sinfonicamente a gridare e a rannuvolarsi di paura per l'arrivo dell'orda di cacciatori.  

 

        È un inizio che dice molto. Dice che la natura è protagonista assoluta. Hazel più di tutti è natura nella sua animalità, nell'educazione ricevuta, nei suoi istinti e nelle credenze pagane ereditate dalla madre defunta. Ma anche i due rivali in amore a loro modo sono natura. Più di quanto ci si possa aspettare in un melodramma. Da un lato abbiamo Reddin, gaudente e intraprendente, cavaliere e cacciatore di volpi tutto passione, fuoco e tramonti (presenti alla lettera). Dall'altro Edward, che è continenza, acqua battesimale, occhi al cielo per parlare con Dio, buon senso e vita di comunità. Sembra una divisione piuttosto netta, però poi in entrambi affiorano aspetti che li smussano e li fanno più reali e meno tipi. Gli eccessi melodrammatici rimangono ma al tempo stesso c'è anche completezza di carattere. Ambedue reagiscono sulla spinta di pulsioni reali ("naturali") che spesso loro stessi non gradiscono nè sanno controllare. La natura (umana) ha la meglio anche su di loro. Reddin si rivela sensibile, "piange come un bambino" di felicità davanti a Hazel, con lei è premuroso e nonostante ci si aspetti da lui brutalità e noncuranza in realtà fa in modo di essere scelto liberamente. Il mite Edward invece in realtà sposa Hazel con un mezzo trucco e vede poi sorgere rabbia e frustrazione per l'abbandono, cosa che lo spinge ad essere più deciso e addirittura brutale (quando cerca di baciare con la forza la ritrovata moglie).

         Oltre ad essere indice di una scrittura non stereotipata il disegno dei protagonisti maschili sembra progressivamente togliere loro forza come "fonte" dell'azione. Più li scopriamo e più vediamo in loro rappresentanti umanamente complessi di due mondi diversi e questo sicuramente li normalizza spostando la gravità e l'attenzione sempre più (e forse anche un po' troppo...) su Hazel e sul suo essere presa, appunto, tra due mondi, e non nel solito frusto dilemma tra cuore e cervello. Hazel è come la sua volpe (parallelo fin troppo lampante), animale mezzo addomesticato rimasto in una zona indefinita e pericolosa. Non appartiene a nessuno dei due emisferi ed è troppo ingenua per capirli e governarli appieno. È certamente una figura eccentrica. Il ritratto che ne fa Jennifer Jones può sembrare a volte fuori controllo tra i vari sguardi febbrili, incantati, spiritati e gli atteggiamenti bambineschi, ma bisogna ricordare che sul volto della Jones si svolge uno scontro tra grandi forze opposte, una battaglia tra pulsioni violente e improvvise. E se la recitazione "melodrammatica" è già di per sé carica e fuori misura come potrà risultare nel caso di un essere infantile, educato più dalla natura che dalla cultura e che spesso della natura ha gli impeti e la volubilità? (Va anche segnalato che Powell fu sempre pieno di lodi entusiastiche per la prova della sua attrice) 

 

 

        Le idee visive e la fotografia ultraterrena di Christopher Challis (l'operatore era un certo Freddie Francis) meriterebbero un trattato a parte. Per ciò che riguarda l'uso del colore e i paesaggi pittorici LA VOLPE è sicuramente uno degli apici della storia del cinema o quantomeno uno degli estremi inventivi da conoscere. Abbondano tanto i tramonti multicolore e le nubi gonfie di luce quanto gli interni dai toni caldi e intimi passando per le brume mattutine distese sulle campagne e l'uso sempre espressivo delle ombre (ad esempio nella fatidica scena in cui Hazel raggiunge Reddin al tramonto, vestita da sposa, e un po' alla volta vediamo che l'ombra di lui sale sulla figura di lei fino a coprirla, chiaro anticipo del congiungimento carnale). Del resto Powell dichiarò che fu soprattutto l'aspetto visivo a convincerlo ad accettare di portare al cinema il popolare (in tutte le accezioni del termine) libro di Mary Webb ("È un tema semplice. Non c'erano molte complicazioni (...) Così ne ho fatto uno magnifico quadro con meravigliose scene di caccia. Ho ricreato la campagna della mia infanzia con i cavalli, i cani e le persone che conoscevo..."). Parte della famiglia di Powell era infatti proprio dello Shropshire, il che fece del regista anche il principale garante dello strano accento della Jones, percepito da alcuni come una pecca nella sua interpretazione. 

 

 

 

        LA VOLPE pone anche un simpatico problema di percezione e valutazione di un universo simbolico. L'eccesso di simboli non sembra proprio essere stata una preoccupazione degli autori per l'opera in questione. È evidente nella caratterizzazione dei tre personaggi principali ma non solo, praticamente ogni scena importante ha una seconda lettura simbolica e/o più dettagli caratterizzati in tal senso. La cosa non si può dire che sia stata gradita dai critici. In linea generale si può essere d'accordo che il frequente uso di simboli facilmente leggibili non appartenga agli stili elevati e originali e non si può certo dare la colpa al romanzo e al suo impianto melodrammatico, che in fondo non han chiesto di essere scelti. In più stiamo parlando di due signori che venivano da una striscia di capolavori a tutto tondo come DUELLO A BERLINO, NARCISO NERO, SCARPETTE ROSSE (etc) . Bisogna quindi presumere che quest'orgia di simboli fosse voluta. Ed è interessante, perché a mio avviso non si avverte la pesantezza e la frizione che di solito anche solo una caduta nel simbolismo troppo marcato fa percepire. Forse il punto è che all'interno di un melodramma i simboli sono attesi ed accettati. In parte può essere. Ma mi chiedo anche se nello specifico dello stile rigonfio e panteistico del film i simboli siano non solo accettabili ma addirittura funzionali ed endemici. In un'opera in cui la natura ha riverberi sulle emozioni e viceversa e in cui si mira a un'espansione per così dire "verticale" tramite un contributo audiovisivo lussureggiante, i simboli sembrano proprio di casa per via della loro finalità di "allargare" e legare. Per quanto più individuabile e specifico il particolare simbolico non è diverso nello spirito dalla colonna sonora o dai colori accesi utilizzati per suggerire ed enfatizzare. Ed un fuoco in una scena di passione non è diverso da simboli a cui siamo solo più abituati come quelli religiosi che circondano il celestiale Edward o un abito bianco ad un matrimonio o i segni pagani interpretati da Hazel o il significato emotivo della luce, del buio e di un cielo limpido. Quello messo in scena da Powell e Pressburger in fondo potrebbe anche essere il posto da cui i simboli sono usciti originariamente, un universo senziente in cui tutto è in fermento e nulla vuol rimanere confinato nelle sue sembianze. 

 

        Com'è noto il film ha avuto una vita molto travagliata. Dopo l'uscita e un discreto flop in patria (certa critica parlò apertamente di kitsch), il famigerato produttore David O. Selznick, tra l'altro marito di Jennifer Jones, decise di apportargli dei cambiamenti prima di farlo uscire nell'emisfero occidentale (per l'Europa non poteva farci niente, i diritti erano di P. & P.). Assunse quindi il regista Rouben Mamoulian per rigirarlo come più gli piaceva, conservando solo 35 minuti dei 110 del film originale. Aggiunse un prologo recitato da Joseph Cotten, appiccicò musiche, levò interamente alcuni personaggi, cambiò il finale e per certe scene usò una volpe visibilmente impagliata. Il film uscì sul mercato americano col titolo "WILD HEART", andò comunque male e oggidì (ahimè) infetta ancora in vari modi la versione degli "Archers". Perciò ATTENZIONE, perché in giro ci sono ancora ignobili dvd come quello che mi è capitato tra le mani con l'abominevole audio in italiano che è più che altro preso dal doppiaggio della versione Selznick. C'è quindi un inutile prologo (dove invece dovrebbe sentirsi solo il vento), interi dialoghi cambiati, dei "ti amo" aggiunti alla boia d'un Jude quando dovrebbero parlare solo le immagini e supplementi di colonna sonora romantica nelle scene madri. Occhio dunque che il film duri 110 minuti e che ci siano i sottotitoli in italiano, perché oltretutto l'anglogallese parlato da Hazel e dal padre può essere ostico anche per le orecchie più anglofile. 

 

 

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