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Voglio solo che mi amiate

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Voglio solo che mi amiate

di maurizio73
7 stelle

Giovane muratore bavarese viene condannato per l'assassinio, durante un improvviso ed inspiegabile raptus omicida, di un locandiere di Monaco che aveva appena maltrattato il figlio perditempo e scansafatiche entrato nel suo negozio. Durante le sedute psichiatriche in carcere, emergono i suoi difficili trascorsi d'infanzia afflitti da una tormentata relazione con i genitori, tanto avari economicamente quanto aridi e freddi da un punto di vista affettivo.

 

locandina

Voglio solo che mi amiate (1976): locandina

 

Film per la televisione tra i tanti della filmografia del regista bavarese girati sul finire degli anni '70, questo melodramma psicologico di insistità teatralità, rappresenta un utile compendio tanto delle tematiche sociali a lui care (lo sviluppo del male in seno alle disfunzioni familiari, la mercificazione delle relazioni interpersonali, l'inadeguatezza emotiva di personaggi prigionieri di una gabbia sociale e culturale, etc.) quanto di un ribaltamento degli assunti di un'estetica televisiva quale strumento per la messa in scena di un artificio narrativo che superi i limiti intrinseci della finzione, mettendo a dimora il lucido determinismo di un dramma personale e sociale di spietata credibilità. Nella quasi totale assenza del concetto di azione drammatica e sfruttanto le pose semistatiche del linguaggio teatrale, Fassbinder utilizza l'inesorabile lentezza del montaggio e la spiazzante incongruenza nell'uso del flashback per ricondurre gli effetti tragici di un dramma personale alla natura sociale e psicologica delle cause che lo hanno prodotto, ingabbiando i protagonisti in un circolo vizioso di relazioni morali (il rapporto edipico con la madre, quello subalterno e scostante con la moglie) e materiali (la dipendenza economica dal padre, l'insufficienza salariale, la smania consumistica) da cui l'unica via di fuga sembra la trasgressione ed il delitto. Benchè possa apparire talora manicheo nella costruzione di un'estetica distante e raggelata, il film di Fassbinder riluce della insana disperazione del suo mite protagonista e della crudeltà entomologica delle relazioni che mette in scena, estraniandosi quanto più possibile dai canoni del naturalismo per far risaltare con maggiore evidenza l'assurdità e l'insensatezza delle pulsioni umane rappresentate attraverso le forme mediate della finzione teatrale e televisiva. Bellissime le digressioni romantiche sullo sfondo scenografico e policromo di una Monaco ricostruita in interni e lo spiazzante finale di un film dove si riproduce il delitto di un altro padre, archetipo grottesco così somigliante al genitore del suo disperato e debole protagonista.

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