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Inferno

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su Inferno

di will kane
4 stelle

Capitolo numero quattro delle investigazioni del professor Harry Langdon, "Inferno", nell'adattamento cinematografico della serie di romanzi firmati da Dan Brown, ormai una celebrità da dodici anni, è diventato invece l'episodio numero tre, perchè Ron Howard ha ritenuto che "Il simbolo perduto", che precede questa storia, non gli interessasse o presentasse maggiori problemi di realizzazione. Qui l'azione si svolge per metà film a Firenze, poi un passaggio a Venezia e si chiude a Istambul: Langdon si risveglia, ferito, in una camera di ospedale del capoluogo toscano, e, braccato da una killer vestita da carabiniere, ed aiutato da una dottoressa, cerca di venire a capo di come sia finito in tale luogo e perchè, e, in parallelo, cercare di scagionarsi dall'accusa di aver compiuto un furto importante, e cercare di fermare l'attacco biologico di terroristi che minacciano di eliminare buona parte della razza umana. Così come "Il codice Da Vinci" e "Angeli e demoni" ottennero grossi risultati commerciali, lecito pensare che anche questa nuova avventura del professor Langdon mieta successi ampi, ed infatti in tre giorni è già verso i cinque milioni di incasso in Italia (negli USA uscirà più avanti). Se i romanzi di Brown, tra suspence scarsa e dialoghi di una banalità urticante, sono tutto sommato opere mediocri, si può dire che a Howard riesca l'impresa, abbastanza rara, di fare film migliori del testo originale: tra l'altro, qui ci sono due cambiamenti notevoli, perlomeno, forse risolti meglio che nel libro. Tra corse a perdifiato, traduzioni e rischi ripetuti, il protagonista cerca di venire a capo dell'intricata faccenda in cui è coinvolto:però Hanks, che è un ottimo attore comunque, è meno a fuoco della partner Felicity Jones. Visione turistica di Firenze, compreso un Ponte Vecchio che misteriosamente è deserto del tutto, ad inizio film: a livello di giallo "Inferno", come tutti i plot desunti da Dan Brown, vale il giusto, ma tutto sommato lo spettacolo non annoia. Però, c'è da dire che lo sceneggiatore David Koepp fa un capitombolo ingiustificabile: in un thriller, interrompere il crescendo che porta al finale, per un lungo flashback tra personaggi, non inerente al nocciolo dell'indagine, è come spezzare un'armonia musicale mentre è in piena espansione, smorzando l'effetto tensione in maniera irrimediabile. 

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