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Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su 11 minuti

di OGM
7 stelle

Tutto accade in 11 minuti. Ma nessuno sa cosa. Insomma, avete capito: è la solita storia.

Un giro di (e)venti. Un colpo d’aria fa turbinare i destini, per un attimo appena, per poi farli volare. Succede in una città qualunque, in un giorno come tanti, che però, a ben vedere, ha qualcosa di strano. C’è un punto nero che oscura il panorama. Ognuno ha una idea diversa su cosa sia. Quanto basta per far sì che, complessivamente, non sia proprio nulla. Una macchiolina sulla quale si può chiudere un occhio, oppure continuare a parlare a vanvera, indefinitamente. Quella piccola imperfezione del cielo si proietta, sulla Terra, nel consueto caos quotidiano, fra la solita gente che perde la testa, che non sa stare al suo posto, che si inventa storie nuove per andare avanti, oppure, al contrario, per farla finita. Jerzy Skolimowski mette in scena la confusa e mediocre ordinarietà del vivere, che appiattisce i contrasti fra l’élite e la massa, mescolando i loro affari nello sporco gioco della casualità. Sono quasi le cinque – o le cinque appena passate – e un minuto in più o in meno è in grado di fare la differenza, per tutti, per chi ordisce losche trame in un hotel di lusso e per chi vende panini su un marciapiede. Oggi sono tutti protagonisti dell’arcano intreccio. E tutti sono, nel contempo, le sfortunate comparse di un’avventura che va per la sua strada, senza tenere conto di loro, dedicandosi con gusto alla propria intrinseca e maligna perversità. Il sole splende, ma l’inferno preme per affiorare: nell’attesa, cosparge il paesaggio di sussulti di follia, di nascita, di morte, di malattia, di sonno, di peccato, di finta e vera paura. Il dramma cova sotto il velo di tante esistenze storte, un po’ indecise sulla direzione da prendere, però certe di voler tentare il tutto per tutto. L’obiettivo le cattura di traverso, le riprende nel prima e nel dopo, fra cambi di angolazione, le rincorre come per convincerci che, comunque le si guardi, il senso, alla fine, non c’è. Inutile crederle importanti, rivelatrici di chissà quale mistero. Non sono fatte per indirizzarci alla soluzione, sono solo quello che sono: incapaci di badare a loro stesse, tantomeno in grado di coordinarsi, contribuendo razionalmente alla costruzione di un valido impianto logico. Il giallo è mera apparenza, il puzzle rimarrà un cumulo di frammenti sparsi, fino a che non lo si butterà via. Il thriller è autentico se è tensione pura, un affanno svincolato dalle regole della caccia al tesoro, un racconto che si lancia avventatamente, senza alcuna pretesa metodologica, nell’esplorazione delle possibilità offerte lì per lì dalle evenienze reali.  L’esperimento merita tutta la nostra attenzione, ma si sottrae ad ogni azione interpretativa. L’uomo non è infatti in condizione di produrre un significato, nemmeno quando qualche forza estranea interviene, in suo soccorso, per far combaciare i pezzi.   Convertire la delusione e la vacuità nelle premesse di una morale, portarle a compimento pronunciando l’ultima parola è dunque un pregevole atto creativo; è letterario e filosofico se, come in questo caso,  affida il nichilismo alla guida, placida e materna,  delle leggi naturali.        

 

11 minut ha concorso, per la Polonia, al premio Oscar 2016 per il miglior film straniero.      

 

Wojciech Mecwaldowski

11 minutes (2015): Wojciech Mecwaldowski

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