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Videodrome

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Videodrome

di scapigliato
8 stelle

"Parola di Cronenberg. Amen". E si potrebbe chiudere baracca e burattini per sempre. Il senso catastrofico e irriversibile a cui dovremmo essere destinati secondo il regista, non dovrebbe avere più appelli. Le allucinazioni, la fusione tra realtà e finzione che crea una terza dimensione inclassificabile, oppure una possibile dimensione catodica, e tutti gli efferati richiami alla distruzione, alla decomposizione, alla degenerazione e corruzione fisica e morale non ci lasciano scampo. Ma credo che il manifesto mediafobico di Cronemberg, non si limiti a mettere in guardia lo spettatore affamato, altrimenti sarebbe il semplice lavoro politico di un bravo mestierante. No. Cronenberg credo vada oltre, e fin dall'inizio del film fino al suo ambiguo finale, gioca con lo spettatore, o meglio gli distrugge la coscienza da spettatore, integrandolo alla storia allucinata del protagonista. Chissà in quanti altri hanno saputo decostruire gli schemi classici narrativi sia in letteratura che al cinema (tra i tanti un posto d'onore va al prototipo Lawrence Sterne, e ai migliori Scapigliati della nostra Milano -Dossi su tutti-), ma Cronenberg, oltre a questa decostruzione, gioca d'anticipo sui tempi. Il film, in gestazione fin dalla metà dei '70, denuncia una vera e propria, quanto orribile, trasformazione fisica dell'uomo-spettatore. Un essere vivente che da uomo-spettatore rischia di diventare uomo-apparecchio. La fusione tra la carne di James Woods e il televisore, con i conseguenti problemi sociali e morali che gli comporta, è una spietata riflessione sul cambiamento sociale che ha interessato il mondo tra i '70 e gli '80. Questi ultimi anni del 2000, poi, hanno ancora peggiorato questa situazione. L'uomo non distingue più il pericolo catodico, anzi, nella finta realtà televisiva ci vede l'unico modello possibile. L'unico paradigma plausibile e perseguibile. Non si spiegherebbero altrimenti i morbosi interessi autodistruttivi per i tanti reality show, in cui la realtà, o l'apparente percezione della realtà, viene messa in vetrina ribaltando la nobile missione dell'arte. Ovvero: se l'arte nasce per rappresentare fuori da noi tutto ciò che in noi non è traducibile a parole, sembra piuttosto, e Cronemberg ci dice invece che è proprio così, che adesso non sia più rappresentazione, ma bensì masturbazione consolatoria. Si esiste solo se si appare.
La grandezza di "Videodrome" non è soltanto nel suo significato, ma anche e soprattutto nel suo efficace significante. Senza gli accorgimenti narrativi di cui sopra, il film avrebbe finito per essere un semplice volantino di denuncia in mano a uno strillone da strada. Invece, l'allucinato montaggio, la sceneggiatura labirintica, i pochissimi e quasi assenti, o impercettibili, raccordi di continuità tra una scena e l'altra, o meglio tra un'allucinazione e l'altra, ci svalangano addosso un senso di disagio misto a stordimento, per il quale noi stessi spettatori in prima persona "giochiamo" incosciamente con la non-materia del prodotto audiovisivo. Un prodotto che a fine film possiamo distinguere in televisivo e cinematografico, perchè, a dirla come il Canova nel suo lavoro su Cronenberg, il cinema rimane "l'unico strumento che consente di vedere la televisione da un altro punto di vista, dall'esterno, e quindi di non restare dipendenti dalla sua logica virale".
Solo quindi grazie ad un linguaggio cinematografico "altro", che sa usare la logica del prodotto vendibile senza per questo mancare di autorialità, Cronenberg ha saputo rappresentare cinematograficamente il grande male del secolo: l'assuefazione catodica e il culto dell'apparire, che non ci permette di essere coscienti esseri umani dotati di libertà e dignità. E se questa trasformazione fisica, profetizzata dal regista, era ai suoi tempi annusabile, oggi credo sia terribilmente davanti ai nostri occhi. Pardon...ai nostri schermi.

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