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L'infanzia di un capo

Regia di Brady Corbet vedi scheda film

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La recensione su L'infanzia di un capo

di leporello
9 stelle

   In principio, il Male era un Angelo.
   Patterson compare così, con le ali, il viso e i capelli di un Angelo. Il “Sesso degli Angeli” è antica questione, col tempo sbrigativamente risolta negando che possano averne uno. Ma a vedere Patterson, il sesso degli Angeli potrebbe essere determinato proprio dai capelli: lo si intuisce dalle sue reazioni quando glieli toccano, o quando gli suggeriscono di tagliarli, oppure quando, proprio per via dei capelli, qualche stupido umano superficiale e grossolano lo scambia per una Femmina. Il Sesso, in realtà, gli serve solo per essere esibito quando serve, nei momenti migliori, oppure quando suscita in Lui una qualche curiosità che, in quanto morbosa, gli somiglia troppo, irresistibilmente.


   Il Male non ha una madre, non ha un padre, e non avendo sesso può riprodursi solo per partenogenesi, al massimo per mitosi. Così è venuto al mondo Patterson, staccandosi da una costola del padre, o della madre (poco importa), ed una volta staccatosi non ha più avuto motivo di sentirsi coinvolto da costoro, tanto che può ferirli o esserne ferito, farli e farsi sanguinare senza che dal sangue possa mai scaturire nessun richiamo a nessun tipo di legame. Perché Lui si lega solo con pochi eletti, generalmente poveri di spirito, quelli che, nell’opinione comune,  sarebbero esaltati dal Bene (che sciocchezza!); come la tata Mona (personaggio cardine del film), che è per Patterson l’unico scoglio, l’unica salvezza, l’unico appiglio per poter sopportare l’insopportabile: Mona era l’unica a stare davvero e fino in fondo  dalla sua parte, gratuitamente, per cui è stato ben logico, per Patterson,  dover annullare ogni altra cosa, fare terra bruciata di ogni finto, importuno adulatore, usando la stessa gratuità con cui Mona è stata annientata da quel nessuno che aveva il diritto/potere di farlo.


   Il Male non è mai soddisfatto di sé, e detesta che altri siano soddisfatti di Lui. Vuole sapere tutto, tutto per bene. Domanda, anche quando non dovrebbe, anche se farlo è sconveniente. Studia, legge, preferisce stare da solo. Picchia il capo, cadendo, ma è così che si rafforza, perché il mondo è ora finalmente capovolto, come voleva Lui.
Il Male non crede nelle preghiere, la sua rabbia è già più che sufficiente. Non ha ragioni per odiare, non gli servono ragioni: d’altra parte, la guerra (e la pace) la fanno gli uomini, non Lui.

   E quel che più sorprende di questo bellissimo (direi miracoloso) film, più ancora di una diffusa co-catalogazione nel filone horror che prima o poi qualcuno mi saprà spiegare, è che si intitola “Infanzia di un Leader”, senza alcun riferimento a nessuna genesi del Male: Patterson è “solo” un futuro leader, niente di più, niente di meno, un qualunque capopopolo di sempre ancora in erba. E la complessa facilità con cui Brady Corbet approda a questa evidenza, la mancanza di fretta con cui lo fa (che meraviglia il lunghissimo bacio della buona notte della tata Mona e quella fotografia “gotica” su Patterson che si abbandona al sonno!), l’accompagnamento musicale sconvolgente curato da un maledetto-perfetto come Scott Walker, insieme ad una prestazione attoriale sorprendente in primis per il piccolo Tom Sweet (Nomen Omen?), a seguire poi per un immenso Liam Cunningham nel ruolo di suo padre (putativo, s’intende...) e  la “divina” Yolande Moreau (Mona),  via via anche per tutti gli altri del cast, determinano e giustificano il successo festivaliero di questo film (anche a Venezia), l’immancabile mancata distribuzione nelle sale italiane,  nonché l’arricciamento infastidito di molti nasi cine-politically correct che non si spiegano, ad esempio, quell’apocalittico, divinatorio terremoto di inquadrature nel finale, senza accorgersi di quella bimba dai lunghi capelli angelici che li aveva osservati un attimo prima, smorfiosa, in mezzo alla folla osannante dei Nuovi, sempiterni Mostri. Tutti noi. Anzi, per dirla come la direbbe Patterson: “Tutti Loro”.


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