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Free State of Jones

Regia di Gary Ross vedi scheda film

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La recensione su Free State of Jones

di leporello
6 stelle

“Some people say a man is made outta' mud. A poor man's made outta' muscle and blood. Muscle and blood and skin and bones. A mind that's a-weak and a back that's strong” (Sexteen Tons)

   A voler essere provocatori, “Il Libero Stato di Jones” che Newton Knight, intorno agli anni di tardo 1800 tra la presidenza Lincoln e quella Johnson in cui Lamerica tentava di sdoganare i “niggers”, può essere considerato il prototipo del perfetto stato comunista, di per sé validissima spiegazione alla brevità del suo esistere. I punti che il Cavalier Newton enunciò nel discorso della proclamazione della sua indipendenza, davanti ad una folla di contadini, ex schiavi, disertori, nonchè relative mogli e progenie dei succitati,  furono infatti (riassunti): nessuno può restare povero se poi un altro diventa ricco, nessuno può dirci per cosa morire o per cosa no,  chi semina raccoglie e quel che raccoglie è solo suo, e noialtri siamo tutti uguali. Applausi.


    Non conoscevo questo breve capitolo di Storia che Il regista Gary Ross ha voluto proporci attraverso il cinema. Episodio marginale, fugace, drammatico come ogni rivoluzione è drammatica, intenso come una Favola e come ogni Favola con una morale puntualmente disattesa dalla Storia, che delle Favole è la peggior nemica.
Peccato però che Gary Ross, pur avendo indovinato non poche scene (una su tutte: l’improvvisa sparatoria multigenere e multietnica durante un finto funerale), non abbia saputo dare alla vicenda il clima, il tono, il colore che probabilmente quella bella Favola nera (e bianca) deve aver avuto nella realtà, almeno come me la figuro io.

    Attraverso lo sguardo perennemente allupato del protagonista, caratterizzato in modo spesso eccessivamente ridondante, pontificante, una sorta di  “one-man-band” buono per ogni cosa, da sindaco a prete, da generale a fabbro, da contadino a bravo marito, leader, soldato, infermiere, stratega, psicologo, fratello maggiore, ottimo cecchino, naturalmente anche un po’ fico, Ross sceglie un taglio patinato, un tono favolistico che non avrebbe dovuto avere (se voleva essere un film storico), che strizza troppo l’occhio a Robin Hood quando gli contrappone un Tenente Fetente nel ruolo dello Sceriffo di Sherwood  e gli affianca una Lady Marion di origine africana, o quando ripulisce un po’ ipocritamente gli stacchi scenici tra un taglio delle palle al negro o lo strozzamento dello stronzo sudista, e soprattutto in quella parte di film un po’ zoppicante e distonica, dedicata al flash forward in cui i discendenti di Knight, quasi cent’anni dopo,  in piena era di “Missisipi Burning” sono ancora alle prese con le questioni razziali.

 

   Anche la colonna sonora non si fa apprezzare troppo: personalmente, ad esempio, al posto della sdolcinatissima e melliflua “I’m Cryng” interpretata da Lucinda Williams sui titoli di coda, avrei preferito sentir risuonare la celeberrima “Sexteen Tons”, una sorta di spiritual moderno, creata e portata però al successo dai bianchi verso il 1950 (questa è una delle poche versioni che ho trovato in rete in cui è cantata da un nero, e male, visto che, invece di cantarla sporca di carbone come dovrebbe essere, la canta sì con tono di basso, ma come se fosse un chierichetto eunuco), un contorto omaggio al bravo Matthew McConaughey che, in questo film sicuramente privo di colpe sue, nel 2012 era stato il protagonista di “Mud” (cioè “Fango”), ciò di cui (dice la canzone) è fatto e costituito  “il pover’uomo, muscoli, pelle, sangue ed ossa, la schiena forte e la testa vuota”, conformemente a ciò che ancora nel terzo millennio, anche in era carbo-Trump, possiamo registrare in termini di schiavismo irrisolto.

 

   Film passabile, per lo meno sul piano degli ideali che riporta.
Grazie lo stesso, Mister Knight. 

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