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Un mondo fragile

Regia di César Acevedo vedi scheda film

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La recensione su Un mondo fragile

di alan smithee
7 stelle

La cronaca di una morte annunciata che contrappone e divide una famiglia di poveri raccoglitori di canna da zucchero. Gran stile registico, rigoroso e formale, per una film che riesce a celebrare una drammatica epopea di un sacrificio orgoglioso ed ineluttabile.

FESTIVAL DI CANNES 2015 - SEMAINE DE LA CRITIQUE - CAMERA D'OR

In un mondo dove non esiste orizzonte alcuno, perché tutto attorno è cinto da piantagioni di canna da zucchero che impediscono all'occhio di spaziare, e da una nube minacciosa dovuta alla polvere solevata da grossi camion che attraversano le infinite strade rettilinee e sterrate, ma soprattutto dalla cenere che intasa aria e polmoni, sprigionata dai fumi degli incendi di ciò che resta dopo la lavorazione della canna da zucchero, un uomo non più giovane giunge da lintano al cappezzale del giovane figlio, malato gravemente ai polmoni a causa dell'ambiente malsano in cui convive da anni.

Lo accolgono, non proprio calorosamente, una moglie anziana che l'uomo non vede da decenni, la nuora ed il nipotino, l'unico a trattenere un certo mal riposto residuo di esultanza che la giovinezza e la tenera età gli consentono di non abbandonare.

l'uomo cerca di persuadere il figlio malato e la giovane moglie ad abbandonare quei campi, quell'ambiente saturo e dannoso, ove i raccoglitori di canna lavorano tutto il giorno e rischiano persino di non essere pagati, o retribuiti con ingiustificato colpevole ritardo. Ma la testardaggine della vecchia moglie, che si rifiuta di abbandonare la casa e il luogo natio, hanno sempre fatto si che il figlio, ora malato terminale, resistesse alle tentazioni di fuga che spinsero il padre ben lontano da quel luogo sperduto ed inquinato.

"La terra y la sombra" (questo il titolo originale) ci permette di conoscere un giovane nuovo regista colombiano, César Acevedo, premiato, a mio avviso piuttosto opportunamente, con la Camera d'or, il riconoscimento molto ambito che ogni anno a Cannes premia la migliore opera prima tra tutti i film di ogni categoria.

Uno stile ricoroso, formale e ricercatissimo che tuttavia non risulta fine a se stesso. camera fissa che si alterna abilmente a carrellate che si posizionano alle costole dei protagonisti seguendoli nei loro percorsi e nel dramma che li avvolge e li soffoca, letteralmente.

Si è parlato di cinema che volge lo sguardo allo stile riflessivo e insinuante di Bela Tarr, e l'accostamento non è, a mio avviso, pretestuoso o fuorviante; si è anche parlato, da parte di detrattori dell'opera, di autocompiacimento, ma in realtà il film, pessimista e disperato, costituisce in inquietante ed efficace, devastante riflessione sul tenace legame che unisce l'uomo al suo territorio natio, impedendogli a volte di sottrarsi ad un destino altamente drammatico e certamente evitabile qualora il raziocinio riesca a prevalere su preconcetti e mentalità poco duttili legate alle proprie radici, molto spesso avvelenate e nocive. 

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