Regia di David O. Russell vedi scheda film
David O. Russell realizza un altro film imperfetto ma comunque gradevole nel quale è bravo a creare un forte legame empatico fra la protagonista Joy e lo spettatore. VOTO: 6
Una delle più grandi abilità di David O. Russell è secondo me quella di riuscire a creare sempre e comunque un elevato livello di empatia fra i personaggi dei suoi film e il pubblico. In altre parole, nei suoi film non si può rimanere neutrali; si fa il tifo come lo si faceva da bambini con l'A-Team. Tutti ad eccezione di quel ristretto gruppo di (pseudo) intellettualoidi con la puzza sotto il naso per cui linearità è sinonimo di ignoranza proletaria, s'intende. E anche il suo ultimo lavoro “Joy” non sfugge a tale regola non scritta. Un'altra sua qualità risiede nel tono sorprendemente leggero che riesce ad infondere a film che certo commedie non sono. E volendone trovare una terza, e questa volta mi riferisco in particolare al film in questione, citerei la stupenda colonna sonora firmata da West Dylan Thordson e David Campbell. Eppure non è tutt'oro quel che riluce, e a fronte di tanti pregi (a cui quasi dimenticavo di aggiungere le ottime performances della Lawrence e di un De Niro che erano anni che non si esprimeva su questi livelli) “Joy” possiede secondo me un difetto 'strutturale'. È cioè costruito intorno a una storia comunque drammatica, propone la parabola di un'eroina moderna con i suoi tonfi e le sue risalite, è narrato in maniera piuttosto tradizionale nonostante l'escamotage della voce narrante esterna a inizio film, porta con se un messaggio privo di ambiguità alcuna, però porta poi a spasso personaggi e spettatori per oltre due ore senza riuscire sulla lunga distanza scelta a dare a primi maggior carattere di quello costruito con pochissime sapienti pennellate a inizio film. A fine film ci si alza dalla poltrona convinti sì di aver speso bene 4 euro (in Spagna di mercoledì, Día del espectador) ma non certo disposti a pagarne immediatamente altri 4 per rivederlo.
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