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Non essere cattivo

Regia di Claudio Caligari vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Non essere cattivo

di ed wood
9 stelle

Testamento spirituale di Claudio Caligari, "Non essere cattivo" chiude alla grande una anomala ed avvincente trilogia, dilazionata nel tempo, con cui l'autore piemontese ha proposto un cinema del tutto alieno a quello dei suoi connazionali contemporanei. Ha fatto, negli anni 80, un film ambientato negli anni 80; negli anni 90 un film ambientato negli anni 70; negli anni 10 un film ambientato negli anni 90.

 
 "Amore tossico" c'entrava ben poco con quel cinema pudico, calligrafico e disimpegnato che imperava negli eighties, pur essendo fortemente marchiato dallo spirito nichilista di quel decennio (altra faccia della medaglia dell'edonismo di facciata: gli yuppies negli uffici e gli eroinomani nelle strade erano due prodotti del medesimo sistema). Lo stesso si può dire di "L'odore della notte" che, in pieno piattume anni 90, recuperava modi (violenti) e toni (aspri) del cinema di genere nostrano di 20 anni prima, virandoli verso una tonalità nerissima, che non lasciava spazio a vittimismi e derive consolatorie, ma solo alla disperazione.
 
Anche "Non essere cattivo" è una creatura "altra" rispetto agli standard del cinema italiano dei nostri tempi. Di solito, anche nei film più originali prodotti nel Belpaese, non mancano le scorie, le pecche, le soluzioni corrive, gli inevitabili difetti da spartire col resto della cinematografia nostrana. Qui invece non c'è alcuna contaminazione: pura poesia di un quotidiano sfasciato, miserabile, eppure carico di irrefrenabile vitalismo. Puro Caligari. Lo scenario è quello che il regista stesso definì "post-pasoliniano": gli anni 90, le droghe sintetiche, la Seconda Repubblica etc...Eppure non si direbbe, o meglio: non è importante. Apparentemente. Se si escludono alcuni inevitabili riferimenti "merceologici" e di costume (capigliature, abbigliamento, assenza di cellulari, cimeli di "Italia 90" e poco altro), potrebbe essere un'epoca qualunque in un luogo qualunque. In tutto il film non c'è un solo riferimento alla Storia: mai una televisione o radio accese, mai un giornale, mai un riferimento alla politica. Persino la musica (house e techno imperavano nei club e nei rave) non ha alcuna rilevanza sul piano tematico; ne ha invece su quello formale, visto l'eccellente lavoro sul suono che crea una specie di cut-up di brani elettronici, con lo scopo di dare una forma sonora scomposta allo stato mentale dei personaggi impasticcati.
 
Mentre in "L'odore della notte" lo scenario dell'Italia anni 70 era presente e, in qualche modo, influenzava direttamente i destini dei protagonisti (niente meno che un dialogo fra un ladro e un esponente della DC nel momento cruciale del film!), in "Non essere cattivo" si cerca e si trova un'astrazione che è poi la vera forza del film. D'altra parte, se ci pensiamo bene, dov'era l'Italia del Boom in "Accattone" di Pasolini? Nascosta, se non invisibile, come un fantasma. Ed è anche per questo se "Accattone" ancora oggi è un testo paradigmatico, universale, per nulla datato o circoscritto alla sua dimensione romanesca. La stessa cosa si potrebbe pensare del film di congedo di Caligari.
 
Non si pensi però che tale astrazione comporti una presa di distanza dalla politica, poichè in realtà è proprio il contrario. Certo, si tratta di un film che mette in risalto valori basilari come l'amicizia (assente o cinicamente rifiutata dal Remo di "L'odore della notte") e l'affetto (strazianti i dialoghi fra Cesare e la nipotina malata terminale), che esalta l'esuberanza irrefrenabile della gioventù e la sua spinta utopistica (tenera e poetica la sequenza in cui Cesare e Viviana sognano di metter su famiglia in una casa buia e abbandonata, riecheggiando la parte finale di "Gioventù bruciata" di Nick Ray), che valorizza insomma un approccio morale e sentimentale. 
 
Eppure, lo sguardo politico c'è. Emerge piano piano. Se sembra assente, è solo perchè negli anni 90 la distanza fra Storia e storie era maggiore, rispetto agli ultra-politicizzati anni 70, dove il privato era pubblico. I nuovi accattoni post-pasoliniani sono vittime di un sistema dove delinquere è più redditizio che lavorare. Certo, più rischioso, ma anche meno faticoso. L'amico fraterno di Cesare, quel Vittorio che dopo l'ennesimo trip di ecstasy sputa contro la propria immagine allo specchio e decide di abbracciare "lavoro e famiglia", si rende conto suo malgrado di essere un perdente. I soldi non bastano, per lui, la compagna e il figlio da mantenere. Oppure bastano, ma se ne vogliono comunque di più. La tentazione di fare più soldi e più velocemente e con meno fatica resta forte: è la logica della strada, cruda materializzazione di quella del capitale. In questo senso, il finale rincara la dose di disperazione: le nuove generazioni sono gà fatalmente entrate in questa logica criminale, tanto che la luminosa tenerezza di un neonato è subito offuscata dalla consapevolezza di uno stato delle cose impossibile da cambiare. 
 
"Non essere cattivo" è quindi un film politico, morale, poetico. Senza sconti (donne e trans ritratte con durezza, in barba al politically correct), senza patetismi (grande misura e pietas nella gestione delle sequenze di dolore), senza ipocrisie (la quotidianità degli sbandati è anche ricca di momenti buffi e divertenti: spassosissimo il primo giorno di lavoro di Cesare, così come la maldestra rapina iniziale), impreziosito da un Marinelli strepitoso e condotto con mano forte ed ispirata da una regia tanto solida quanto creativa. Fra 20 anni sarà considerato uno dei film italiani da salvare di questo decennio.
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