Regia di Angelo Cretella vedi scheda film
Michele (Alessandro Federico) è un ragazzo che vive con la sua famiglia ad Edimburgo e che dopo diverso tempo fa ritorno al suo paese d'origine. Qui scopre della scomparsa misteriosa della madre (Pina De Dominicis) e si mette a cercarla con esiti infruttuosi. Perchè nessuno sembra averla mai conusciuta e ognuno mostra ostilità nei confronti del ragazzo. Rimane da solo nella casa natale, con una madre da ritrovare e con un ambiente circostante che muta continuamente i suo connotati. Il quartiere dove abita sembra disabitato, svuotato di vita, carico di sensazioni malsane. Presenze-assenze che esigono una coscienza nuova se vogliono essere spiegate per quelle che realmente rappresentano.
"Svanire" di Angelo Cretella (regista casertano qui al suo quarto cortometraggio) racconta di una violenza silente e brutale : quella che ha eletto come sua vittima prediletta quel territorio situato tra la provincia di Napoli e Caserta ormai comunemente noto come Terra dei Fuochi. E lo fa in un modo assolutamente antiretorico, senza mai mostrare la faccia tragica della morte e facendo solo un rapido accenno alla presenza "invasiva" di quei fumi che hanno avvelenato la terra e che ancora corrompono le coscienze. La violenza di cui si preoccupa di parlare il film si lega a un qualcosa dalla natura multiforme, tanto concreta nel suo rappresentare uno spaccato fedele di questi tempi votati alla pubblica inciviltà, quanto sfuggente per come sa somigliare ad un tarlo che si insinua sotto traccia ed agire indisturbato. É Michele a rappresentare tutto il carico di sensazioni "perturbanti" che aleggiano dentro il cortometraggio, lui viene da fuori è forse può meglio codificarne gli sviluppi. Si mette in una posizione di attesa Michele, aspettando che qualcosa accada, che un segno indichi qualche indizio a cui aggrapparsi. E intanto che aspetta, ha modo di percorrere per intero un esperienza di vita che parte dalla riscoperta delle sue più solide radici fino allo smarrimento progressivo di ogni coordinata fisica ed affettiva, ricordi inclusi. Nell'angosciosa ricerca di una madre che nessuno sembra aver mai vista e conosciuta, Michele arriva ad incarnare un impalpabile sensazione di straniamento (ricavata soprattutto dalla fotografia bella e "lunare" di Alessandro Lanciato ma anche dalle musiche di Paki Di Maio) che lo conduce fino all'espoliazione del mondo che lo circonda. Una sensazione che è propria di quanti si trovano a registrare dei cambiamenti genetici (oserei dire) del "milieu" urbano d'appartenenza senza che a questi si possa dare subito una spiegazione plausibile od opporre una resistenza fattiva. Lungo la sua strada incontra molta cenere, cenere ovunque, cenere che, evidentemente, sta ad indicare l'imminenza di qualcosa che è arso, ma che qui può stare anche ad indicare un preciso punto di confine tra la disgregazione in atto di un territorio che genera disincanto e l'inizio di una consapevolezza vergine (come ci suggerisce il bel finale) data come premessa essenziale per cominciare a guardare il problema per quello che è, nella sua totale interezza, e porvi gli adeguati rimedi : per non scoprirci tutti schiavi dell'ineluttabile.
Il film agisce per ellissi narrative, si nutre di sensazioni che sanno veicolare stati d'animo, più intente a generare un rapporto empatico con chi osserva che a produrre una precisa descrizione di eventi, usa la "metafora" della madre scomparsa per generare un legame speculare tra lo "smarrimento" progressivo di tutto ciò che ha contribuito nel tempo a rafforzare un rapporto filiale (con la madre certo, ma anche con il mondo circostante) e lo stato di latente "decomposizione" di cui è fatto vittima un intero territorio. Eppure, in poco meno di venti minuti, "Svanire" sa essere tremendamente concreto nel suo porsi come un grido di denuncia che non può rimanere ancora inascoltato, "corporale" e riflessivo insieme. Il film testimonia l'urgenza di non dimenticare quanti già sono "svaniti" e l'accurata regia di Angelo Cretella (anche sceneggiatore, insieme alla scrittrice casertana Giusi Marchetta e a Nicola Pellino) si premunisce di gridarlo a bassa voce, usando gli strumenti offerti dall'arte cinematografica senza cavalcare l'onda emotiva rischiando di allineare l'opera a quella spettacolarizzazione del dolore tristemente di moda. Il suo è un cinema che parte dal basso e che vive dell'aiuto (economico e non solo) di quanti credono nei suoi progetti, con un impronta etica e un taglio sociale che non accettano deroghe. Un cinema che occorrerebbe promuovere.
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