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Man on High Heels

Regia di Jin Jang vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Man on High Heels

di alan smithee
8 stelle

Essere ed apparire: mai come nel poliziotto Yoon convivono queste due discrepanze inconciliabili: uomo duro dal fisico scolpito e muscolare fuori, donna sensibile e passionale dentro. Far predominare una delle personalità è complicato.Gran poliziesco d'azione che sa conciliare ritmo pulp, splatter e sentimento disegnando un personaggio da manuale.

Yoon è un veterano tosto della polizia di Seul: un duro, il nemico numero uno della criminalità organizzata dilagante: i suoi nemici lo temono, ne ricordano la rapidità di reazione, lo spirito combattivo, l’effetto letale dei suoi colpi ben assestati; i segni delle ferite che l’eroe si è procurato in campo, che contornano in modo tattico e con grande effetto scenico il corpo statuario e virile, contornato da muscoli sviluppatissimi e guizzanti.

Peccato che il poliziotto non si riconosca fisicamente con quel suo corpo scattante e micidiale, ma solo caratterialmente, utilizzandolo a tale scopo come un’arma per difendersi dagli agguati del nemico: egli in realtà si vede più come una donna, imbrigliata dalla nascita in un corpo che non le si conviene.

Per questo l’uomo progetta da tempo, ma in totale segreto, un cambiamento di sesso che gli permetta di soddisfare finalmente l’inadeguatezza in cui è stato fino ad ora costretto a vivere, sopportandosi a malapena, senza mai accettarsi fino in fondo.

Ma per cambiare sesso non basta l’operazione, come gli ricorda un’amica smaliziata più anziana, ormai una donna completa, ma un tempo uomo come lui.

Mentre la sfida con una gang malavitosa sfugge da ogni controllo dopo il ferimento a botte del capo di riferimento e dopo che i suoi seguaci si sono attrezzati per vendicarsi, dopo che la accurata regia ci ha spiegato ed esplicitato alcuni episodi cardine dell’infanzia del ragazzo, compresa l’unica vera storia d’amore con un compagno di classe, finita tragicamente, ecco che il film si dipana rutilante in una caccia all’uomo dove la preda diventa il poliziotto anziché i malviventi, e dove la sfida diventa sempre più un sanguinoso testa a testa, o addirittura un corpo a corpo tra il nuovo boss in carica ed il nostro devastato eroe, minato fisicamente ma anche psicologicamente da una decisione che in entrambi i casi si delinea come cruciale e definitiva.

Il regista coreano Jin Jang, qui impegnato nel suo secondo lungometraggio, si rivela un estroso ed efficace dispensatore di scene d’azione, che appaiono coordinate alla perfezione, eleganti e seducenti dal punto di vista visivo, dirompenti per come egli riesce a coreografare balletti di violenza e danze di morte, con voli acrobatici e spruzzi di sangue che richiamano con una certa ironia i capisaldi del genere pulp.

Allo stesso tempo seguiamo l’appassionato dilemma personale che dilania la mente del nostro uomo, che matura un desiderio irrinunciabile a trasformarsi in una donna anche quando le circostanze, le caratteristiche fisiche, contrastano nettamente con questo suo pressante desiderio/attitudine.

Il film, che ha ottenuto il Gran Prix e il Prix de la Critique al Festival du Film Policier de Beaune nel 2016, oltre ad essere stato girato con grande maestria ed eleganza, risulta pure molto profondo nel sondare stati d’animo e sentimenti intimi e per forza di cose controversi, antitetici, tra una realtà invadente ed inaccettabile e un’esigenza di cambiamento impellente perché  in grado di rendere farfalla una crisalide irrisolta: non è poi così semplice, elementare, l’esplicitare e saper cogliere nel loro risvolto più drammatico e potente questi sentimenti intimi, racchiusi all’interno di un film dove l’azione ha spesso la meglio, almeno in apparenza, sul sentimento o si prende la sua prepotente rivincita sull’introspezione del combattuto protagonista.

Ma il film non rinuncia per questo nemmeno ad una buona dose di ironia, che si concentra soprattutto sulla raffigurazione dei “cattivi”, perfidi ed ingannevoli, manierati e quasi comici certo, ma mai veramente disumani, ed a volte persino molto vulnerabili.

E “l’uomo coi tacchi alti” reso con sofferta partecipazione dal muscolare attore Seung-won Cha, ottimo, bravissimo nonostante il volto pietrificato dal trucco, donna irrisolta e mancata che non riesce a trasformarsi in tale nemmeno sotto una massiccia cura ormonale, tanto appare muscoloso e virile, scatena sul nemico tutta la sua frustrazione di non poter mai essere in linea con quanto veramente desiderato, disgregandolo a suon di pugni e mosse da combattimento in grado di disegnare coreografie da battaglia che sembrano balletti sincronizzati e sinuosi a cui prende parte una ballerina di grande esperienza e talento indiscutibile.

 

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