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Il Clan

Regia di Pablo Trapero vedi scheda film

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La recensione su Il Clan

di supadany
8 stelle

Premiato a "Venezia 72", El clan è un ritratto in movimento, lucido, multistrato e d’autore. Una storia importante, rileggibile universalmente come allegoria del male che non molla la presa fino alla sua terminazione (e anche mentre boccheggia ancora non demorde). Il cinema classico dall’ampio respiro abbraccia l’ispirazione.

Premiato a Venezia 72 con il Leone d’argento per la miglior regia, prodotto, tra gli altri, da Pedro Almodovar, campione d’incassi in Argentina, sono questi gli elementi pubblici che denotano l’attenzione e i riconoscimenti che El clan ha ottenuto, per chi scrive, con pieno merito.

Tanto, tantissimo, di questo brillante risultato è da attribuire a Pablo Trapero che prende con costanza l’iniziativa mantenendo una lucidità encomiabile, realizzando in questo modo un’opera che possiede un’identità marcata e preziosa.

Argentina 1982, la dittatura è appena terminata e la democrazia prova a farsi largo. Non ci crede molto Arquimedes Puccio (Guillermo Francella) che nel regime aveva un ruolo attivo e che, per mantenere alto il tenore di vita della sua famiglia, comincia a sequestrare giovani rampolli di ricche dinastie.

Coinvolge negli affari, più o meno attivamente, la sua famiglia, a partire da Alejandro (Peter Lanzani) - che intanto sogna una vita diversa - e non si pone alcun scrupolo pur di portare avanti la sua attività criminale, convinto che nessuno possa porgli un freno.  

 

Guillermo Francella, Peter Lanzani, Inés Popovich

Il Clan (2015): Guillermo Francella, Peter Lanzani, Inés Popovich

 

La società genera mostri che i cambiamenti positivi non possono eliminare dalla sera alla mattina anzi, forti dello status d’intoccabili e invincibili, operano anche peggio di prima senza conoscere il significato delle parole (tra le altre) resa, umanità ed errore compromettendo ciò che di più caro al mondo ci dovrebbe essere.

El clan è un ritratto segnato da una spiccata personalità, evidenziata dallo stridere tra un’immagine pubblica, del personaggio principale – gelido calcolatore, imperturbabile nel suo agire come se gli fosse concesso (ancora) tutto - così come della sua famiglia, di facciata rassicurante e che non lascia dubbi, e una realtà pregna di orrore. Un parallelo che affonda nella carne viva grazie alle scelte di montaggio alternato e da musiche leggere, quando non proprio allegre, che sottolineano, ad esempio, al meglio una scena di sesso paradisiaco e generano, contemporaneamente, un effetto paralizzante durante sevizie e violenze in genere, che prevedono, di volta in volta, la peggiore delle conclusioni.

Distanze siderali, tra la gioia e ferite insanabili che avanzano intersecate, così come simbolicamente la cameretta colorata della più giovane dei Puccio confina con una stanza utilizzata come temporaneo lager.

In questa raffigurazione, anche l’elemento familiare ha il suo peso determinante, con posizioni diverse, alcune volte cristallizzate, in altri casi smaniose di trovare uno smarcamento impossibile, tra una partecipazione attiva, se non tacita, un silenzio che rimane inammissibile per quanto poi, ciò che le didascalie finali suggeriscono, sia stata applicata nei loro confronti una pietà che sul percorso inverso non è mai stata nemmeno lontanamente presa in considerazione, ma intanto i sogni se ne sono comunque andati per sempre, lasciando fantasmi.

El clan è un’opera dall’elevato contenuto artistico trasversale, rappresentazione di un periodo di transizione e di abitudini nefaste, capace, grazie a una regia sempre attiva e a una trama sviluppata in lungo e in largo, di uscire da un cinema strettamente localizzato, accordando una base regolare, con uno svolgimento che si aggira nei confini del classico, a vere e proprie impennate stilistiche, come appunto gli stridenti contrasti citati in precedenza, un valore aggiunto che va ben oltre l’ordinario.   

Anche la scelta di tenere alcune scene topiche, cui pochi autori avrebbero rinunciato, fuori campo è saggia, evita ridondanza e garantisce un equilibrio generale, proprio di un film che non si limita a raccontare ciò che potrebbe anche essere noto (e, probabilmente, sarebbe comunque stato già sufficiente), riuscendo così a scolpirne l’essenza nella memoria in maniera ancora più netta.

Inequivocabile (prova di un autore maiuscolo).

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