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Il club

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Il club

di Peppe Comune
8 stelle

Padre Vidal (Alfredo Castro), Padre Ortega (Alejandro Goic), Padre Silva (Jaime Vadell) e Padre Ramirez (Alejandro Sieveking) sono quattro preti che, per delle colpe commesse in passato, sono costretti dalla Chiesa a subire un isolamento forzato. Vivono tutti insieme in una casa a La Boca, sulla costa cilena, accuditi da Monica (Antonia Zegers), una suora che gli fa da domestica. È l'arrivodi un quinto "scomunicato" a mettere in pericolo l'esistenza tranquilla che comunque erano riusciti a raggiungere. Padre Lazcano (José Sosa) arriva portandosi a La Boca l'oggetto della sua colpa, ovvero,quel Sandokan (Roberto Farias) che da bambino aveva violato. L'implosione tragica di tutte le colpe di Lazcano fa emergere per contrasto quelle di tutti gli altri. L'arrivo del giovane inquisitore Padre Garcia (Marcelo Alonso) si rende necessario, come necessario arrivare ad una soluzione buona per tutti : vittime e colpevoli.

 

scena

Il club (2015): scena

 

"El club" di Pablo Larrain è una riflessione sul potere "autoassolutorio" della Chiesa la quale, col suo sottrarsi al giudizio "temporale" del mondo, svilisce sul nascere la bontà di contenuto della precettistica cristiana che va propugnando. Un film che giocando di sponda con l'ambiguità calcolata di uomini di chiesa, offre uno spaccato attendibile sul carattere di una nazione. Il passato ritorna sempre. Perchè per Pablo Larrain il passato si dimostra essere una questione che non smette mai di produrre i suoi effetti deleteri, che anche se si materializza a distanza di tempo e assume forme diverse, arriva a rendere nuovamente precaria la possibilità di giungere ad equilibrio esistenziale definitivo. Nel cinema dell'autore cileno, il passato si fa materia viva, oggetto di indagine continua, svincolato da ogni aspetto puramente temporale. Materia che intrattiene con il presente un rapporto di intima interdipendenza. Sia che si tratti di indagare da vicino sugli effetti cancrenosi prodotti sul Cile dalla dittatura militare di Augusto Pinochet, sia che ci si soffermi, invece, sulle sofferenze esistenziali di quattro preti peccatori posti dalla "madre Chiesa" in una condizione di cattività coatta, è sempre la storia del Cile nella sua multiforme generalità  ad interessare Pablo Larrain, una storia raccontata con un fare solo apparentemente distaccato, perchè teso a rappresentare il male prodotto senza mai mostrarcene le fattezze concrete, perchè, evidentemente, gli interessa principalmente riflettere sul carattere di un paese ferito, più mettendo in risalto quelle falle di sistema suscettibili di generare comportamenti alienanti nelle persone, che chiarire sin da subito la fonte generatrice di tanta gratuita cattiveria. La macchina da presa è sempre lontana dal centro nevralgico del male, ma tanto vicina ai suoi effetti sicuri, dentro la sua natura maledeorante. Il qui ed ora del palesarsi di un certo effetto diventa perciò oggetto cardine della rappresentazione filmica.

Questo aspetto della poetica di Pablo Larrain in "El club" è ancora più evidente se è vero, come credo, che il tentativo dell'autore cileno è stato quello di mostrare attraverso questo film le contraddizioni malefiche della Chiesa la quale, piuttosto che guardare in faccia i suoi problemi e cercare di risolverli in nome di quella verità cristiana che professa e costodisce, si limita a tenerli lontani dal pubblico giudizio in ragione della difesa corporativa di un potere che si vuole immutabile. Attraverso la delineazione puntuale delle personalità a diverso modo problematiche di quattro preti "scomunicati", si codanna con lucida fermezza l'inclinazione naturalmente corporativa della chiesa, i vizi che vi si annidano, le pulsioni sessuali che vi serpeggiano, la sua anima reazionaria. I quattro preti sono indubbiamente delle anime in pena, ma si trovano nella condizione tipica di chi è riuscito a raggiungere un punto di equilibrio accettabile con le sopraggiunte condizionie di vita, di aver saputo instaurare un rapporto normalizzante con le proprie colpe. Pregano a degli orari stabiliti, officiano messa una volta ciascuno, c'è una suora che funge da domestica e che si preoccupa di assecondare ogni loro debolezza. É un esercizio clericale molto terreno il loro, senza alcuno slancio spirituale. Concepiscono la loro redenzione come il lento scorrere di giornate sempre uguali, giornate che, se da un lato sono il frutto di un imposizione, dall'altro lato sembrano corrispondere al desiderio loro di sapersi lontani dal giudizio morale dei propri simili. L'espiazione purgatoriale che devono portare a compimento gli appare certamente più dolce in mancanza della presenza inquisitoria della Chiesa. Ma è una presenza questa che si rende urgente di fronte all'esplosione fragorosa di una colpa, necessaria al cospetto di un'innocenza violata che arriva fino al cuore del male per urlare tutta l'ingiustizia subita rimasta impunita. Le ferite sanguinanti di uno significano il riaffiorare concreto di quelle di tutti gli altri, le urla di dolore che arrivano da un passato mai rimosso impongono la presenza riparatrice della Chiesa. Questa presenza è quanto basta ai quattro preti per ricacciarli indietro fino al loro passato tormentato, all'origine delle rispettive colpe, a guardare in faccia il loro presente contraddittorio. Quella chiesa, che loro hanno continuato ad obbedire attraverso l'ottemperanza servile delle litugie quotidiane, ritorna nuovamente ad essere l'elemento castrante che impedisce loro di assecondare le umane debolezze.

In questa storia il tema della colpa e del potere che dovrebbe smascherarla al cospetto del mondo intero, è filtrato attraverso diversi punti di vista : quello di chi ha commesso delle colpe gravi e quello di chi è chiamato a giudicarle ; quello di chi ha gravemente peccato contro i propri simili e quello di chi ne è stata vittima sacrificale. Ma per tutti, sembra suggerirci Pablo Larrain, è meglio perpetuare quell'isolazionismo anonimo che tutto ripara ma nulla risolve.

Un grande film dal bilanciato rigore stilistico, eticamente ineccepibile senza essere moralistico. Un'altro di uno degli autori più importanti del cinema contemporaneo.         

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