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The Hateful Eight

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su The Hateful Eight

di SatanettoReDelCinema
9 stelle

L'ultima fatica di Quentin Tarantino, capace di dividere il pubblico in due categorie più che mai distinte. E tu da quale parte stai?

Difficile, oserei dire arduo parlare di questo film senza cadere in contraddizione.

Perché è così che mi sono sentito la prima volta che ho visto questo film in sala: confuso. Sapevo di aver assistito ad un gran bel film, ma sapevo che qualcosa non andava.

Ho letto molti commenti e recensioni delle più disparate. C'era chi considerava il film un capolavoro assoluto del cinema e chi invece una grossa delusione, indegna di quel signor regista che è Quentin Tarantino.

Ho rivisto più e più volte il film quando poi è uscito in DVD, e ogni volta il mio pensiero mutava in qualcosa.

Scoprivo nuove verità, nuove chicche che mi ero perso, ma anche alcuni problemi che prima non mi erano stati chiari.

Da qualche tempo sono arrivato alla conclusione definitiva: The Hateful Eight è un film davvero ottimo, ma è frutto di un Tarantino atipico, quasi normalizzato sotto certi punti di vista.

Partiamo però dal principio, andando per gradi.



La prima cosa che mi viene in mente per poter introdurre il mio pensiero in maniera adeguata è la seguente: The Hateful Eight è La cosa.

La scenografia innevata, l'isolamento dei personaggi, la costruzione psicologica di questi che matura in sospetti. Nulla da dire, questo è La cosa in versione western. Ed è come La cosa anche per il fattore coinvolgimento. Immerge nella vicenda, sorprende grazie alla sua effettistica e alla resa registica nell'insieme e mantiene alta la suspense, soprattutto nella seconda parte.

Tarantino dirige il film con la sua solita maestria, arricchendola di elementi noir e di comicità.

La fotografia targata Robert Richardson (Bastardi senza gloria, i Kill Bill, Hugo Cabret, The Aviator e Shutter Island, giusto per citarne alcuni, vi dicono nulla?) è limpidissima.

Il montaggio è eccelso.

Alcune inquadrature sono davvero paurose.

La colonna sonora di Ennio Morricone accompagna in maniera eccellente l'insieme, creandone un mosaico dalle varie sfaccettature (colonna sonora che peraltro ha permesso FINALMENTE al maestro Morricone di vincere un Oscar. Era ora direi....).

Il cast è stellare, gli attori funzionano e sono diretti divinamente dal buon Quentin.

E ovviamente non mancano le solite citazioni che possono accontentare qualunque cinefilo accanito.

 

Ma qual'è dunque la questione spinosa? Perché è così difficile per me parlare di questa pellicola senza cadere in contraddizione?

La risposta è semplice, ma allo stesso tempo ardua: perché anche se ho definito il film come pregno di suspense e ultra-coinvolgente ritengo ad esempio che si è stato tirato troppo sul dialogo, tanto da non sembrare quasi un film di Tarantino.

Il buon vecchio Quentin ha avuto sempre un gran gusto per i dialoghi. Spesso spiritosi, spesso profondi, coincisi ma molto significativi.

Il dialogo nel film tipico di Tarantino appare come scanzonato e sui vari generi, ma portano molto spesso alla riflessione e a stimolanti sbocchi nella storia.

Questa constatazione, anche se non con le stesse parole, l'avevo affermata nella recensione su Le iene e in quella sul capolavoro assoluto del regista, ovvero Pulp Fiction.

In The Hateful Eight i dialoghi sono ottimi, ben scritti e capaci di far capire il periodo storico in cui si ambienta la vicenda, ma troppo tirati in certi punti, e in altri punti fini a loro stessi.

Anche la costruzione della storia. Non siamo sugli standard del regista, seppur ci si trova su un punto alto.

 

Ed ecco dove sta la contraddizione, direte voi lettori: ho definito il film coinvolgente, ma anche noioso.

Errato. Io ho definito il film come un gran bel prodotto, tra i migliori del regista (se non entra nella top 3 poco ci manca), ma con alcuni elementi (dialoghi e costruzione della vicenda) che non sono sul livello a cui il buon Quentin ci ha abituato, o meglio che sono comunque ottimi, ma che trasudano quasi una voglia di adattarsi.

Una voglia di adattarsi a quel cinema che sforna grandi film, ma che non hanno la spinta dovuta ad un dialogo colto e potente come quello costruito nella sua esperienza dal regista del postmodernismo per eccellenza.

 

Resta comunque un film straconsigliato per chiunque, anche per i non appassionati del genere, perché comunque sulla questione dialoghi è un parere quasi del tutto personale e in ogni caso le apparentemente lunghe tre ore di pellicola volano via abbastanza bene.

 

Tra il top dei film usciti nel 2016.

 

Voto: 9-/10.

 

 

 

 

 

 

p.s. La recensione sarebbe dovuta uscire giovedì, ma un impegno improvviso, insieme al fatto che venerdì non ci sarei potuto essere per tutto il giorno, hanno cambiato un po’ le carte in tavola.

Amen.

 

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