La recensione su The Hateful Eight

Premetto che ho visto il film in italiano e neppure in 70 mm, quindi mi riservo il diritto di giudicarlo nuovamente quando potrò fruire quantomeno della lingua originale. Premetto inoltre che adoro Quentin Tarantino e che lo considero uno dei registi più geniali degli ultimi decenni.

È difficile esprimere un giudizio così, a caldo, ma l'istinto mi dice che The Hateful Eight è sì un grande film, ma probabilmente uno dei lavori meno riusciti di Tarantino. Innanzitutto c'è da specificare che un film di tre ore (+2) ha l'importante e arduo compito di far restare incollato allo schermo lo spettatore senza annoiarlo o addirittura addormentarlo. Personalmente The Hateful Eight c'è riuscito solo a metà. Sono infatti partito con le migliori intenzioni - mosso dalle positivissime esperienze precedenti -, ma ammetto che alla fine della prima parte (poco prima della sparatoria, per intenderci) sono arrivato piuttosto stanco e annoiato. Uno dei pregi di Tarantino è quello di scrivere dialoghi interessanti che catturano immediatamente l'attenzione, ma questa volta il regista californiano sembra aver portato all'estremo - forse all'eccesso - questo aspetto. I personaggi principali sono presentati senza tanti fronzoli e più si va avanti nella visione più si scoprono dettagli della loro vita e del loro passato, ma questa descrizione (certo non fine a se stessa) si dilunga per troppo tempo e alla fine si perde la visione d'insieme della storia.

Nella seconda parte del film c'è finalmente quel cambiamento di tono a cui prepara la prima, ma anche lì sembra non esserci quell'inventiva (registica e d'azione) che è solito presentare Tarantino. Sorvolo sulla violenza: ho letto in giro le solite polemiche, ma mi sembra assurdo che nel 2016 vi siano ancora persone che si sorprendono che esiste il sangue nell'arte.

Insisto con il dire che forse in The Hateful Eight c'è troppo Tarantino. I dialoghi fitti e impetuosi, la caratterizzazione dei personaggi con le loro storie e i loro problemi, la violenza come parte irremovibile di un sistema già dato: tutti questi aspetti a cui Tarantino ci ha abituato (sempre diversificandoli ottimamente) da Le iene a Django Unchained, in The Hateful Eight vengono ampliati al massimo, finché non raggiungono presumubilmente la loro suprema espressione. Espressione che se viene ampliata oltre un certo limite rischia di (s)cadere nella parodia di se stessa.

Sia chiaro: il risultato di questa eccedenza non è certo un brutto film: avercene oggigiorno. La sceneggiatura è solida, i dialoghi sono scritti benissimo; la consueta regia tarantiniana non ha bisogno di commenti e le musiche di Morricone offrono ottimi spunti. Quel che invece stavolta ho trovato più fiacchi sono i personaggi, alcuni troppo poco inquadrabili (il maggiore e John Ruth, per esempio), altri che figurano soltanto (penso a Tim Roth e Michael Madsen). Vero che a differenza di Django o Bastardi senza gloria Tarantino non offre un personaggio in cui identificarsi (sono tutti ugualmente discutibili), ma si ha l'impressione che nessuno di essi meriti davvero attenzione.

Sostanzialmente non trovo un particolare problema nel film, quanto una certa debolezza d'insieme. Metto comunque un 4/5 perché The Hateful Eight rimane un film estremamente originale e perché quando le aspettative sono molto alte è più facile rimanere delusi.