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The Hateful Eight

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su The Hateful Eight

di giorgiobarbarotta
6 stelle

Esprimere un giudizio su un'opera fortemente connotata stilisticamente può essere cosa facile ma può altresì rivelarsi operazione molto complessa. Partiamo dall'assunto che il talento di Tarantino è elemento inconfutabile e universalmente riconosciuto. Ora: come porsi di fronte al reiterarsi degli elementi che lo hanno reso unico e riconoscibile e fatto grande il suo cinema? Come valutare l'autocitazionismo, l'autoreferenzialità, l'autocompiacimento sfacciato di questa sua tanto sbandierata ottava fatica? Hateful Eight è un pout pourri dei precedenti capitoli (si badi bene alla scelta di quest'ultimo termine) della filmografia del regista americano. I richiami sparsi nelle tre ore di pellicola a questo o quell'elemento, personaggio, inquadratura, soluzione, battuta, personaggio, scelta grafica o sonora, suddivisione narrativa, del suo passato artistico sono palesi e dichiarati. Inutile addentrarsi nell'aspetto specifico, basta rilevare il dato di fatto. Un gioco di complicità con lo spettatore o l'affezionato pubblico? Può darsi. Un divertimento per pochi eletti? Può altrettanto darsi. Una dichiarazione d'intenti nel sottolineare marcatamente la propria poetica? Più di qualche dubbio. La domanda che sorge spontanea è: se invece le capacità e gli sforzi fossero stati indirizzati al nuovo, all'ignoto, alla ricerca vera? Credo che i maestri abbiano anche questo compito e responsabilità: cimentarsi con coraggio con materie sconosciute, con stimoli diversi, abbattere muri, creare strade, dimostrare guizzi almeno un po' avanguardisti. Pulp Fiction è stato questo, Jackie Brown lo ha confermato, Bastardi Senza Gloria lo ha ribadito. D'accordo, qui abbiamo uno spunto interessante: riunire in territorio neutrale, fuori dal mondo e dalla storia, il Nord e Sud post guerra di secessione; ci sono un paio di brillanti dialoghi politici (a inframmezzarne decine di insignificanti e inutilmente turpiloquiosi: "chiappe, bastardi, negro" a profusione, tanto per cambiare); c'è un uso del formato che presumiamo geniale, perché noi comuni mortali ne abbiamo solo letto sui giornali, senza averlo gustato nei cinema normodotati; c'è un manipolo di attori in stato di grazia (più o meno gli stessi di sempre) diretti in modo impeccabile; c'è un climax da resa dei conti finale, topos del genere (altro western a seguire Django Unchained); la stuzzichevole formula dei Dieci Piccoli Indiani e delle Iene teatralizzata nell'emporio di Minnie; un intrigante prologo infinito; una colonna sonora candidata all'Oscar, a firma Morricone (di cui perdiamo Ouverture e Intermezzo, si dice i brani migliori). Ci sono anche una durata eccessiva, una virata splatter nell'ultima mezz'ora, una sorta di riflessione socio-culturale sulla Nascita Di Una Nazione da Five Points scorsesiani, la solita sottolineatura della convivenza coatta di razze e etnie in USA, l'esplodere della violenza, il passato misterioso dei protagonisti, l'apparire improvviso dell'uomo nell'ombra, il simbolo mitizzante, l'oggetto evocativo (che sia una fantomatica lettera di Lincoln, "amico di pennino" o un'ignota valigetta come nel già nominato Pulp Fiction cambia poco) e molto altro ancora. Ma questo ricco insieme di elementi oltre a saziare come un lauto pasto risulta anche pesante, difficile da digerire, inutilmente ipercalorico. Dopo averlo masticato e digerito ci si chiede se abbia realmente appagato. E alla fine della fiera resta l'amaro in bocca.. Quattro stelle e più alla tecnica, niente da dire …però non più di tre al quadro generale, che difetta gravemente in ciò che non ci saremmo mai aspettati dal simpatico Quentin: l'Ottavo suo film è semplicemente palloso.

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