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The Hateful Eight

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su The Hateful Eight

di BALTO
7 stelle

locandina

The Hateful Eight (2015): locandina

S.L.Jackson ferma la diligenza come John Wayne in “Ombre Rosse”.”C’e’ posto per uno in più?”.E così inizia come orgogliosamente anticipato l’ottavo film di Quentin Tarantino,in realtà 8 e ½.E analogamente al regista dell’omonimo film felliniano,mi è sembrato un po’ in crisi creativa;la scelta di girare due film dello “stesso genere” consecutivamente già mi aveva insospettito .Poi mi ero rassicurato grazie alle anticipazioni che lo presentavano come un thriller psicologico,in realtà mi ha deluso.”Ombre Rosse” di Ford in lingua originale si chiama “Stage Coach” che in inglese significa diligenza; campi lunghi,dissolvenze,piani fissi,primi piani,campi e controcampi e la scelta splendidamente anacronistica di girare in pellicola 70mm fanno sperare dall’incipit che si voglia seguire il passo cadenzato di un classico,poi si sterza dalla stage coach allo “staging coaching”,espressione americana gergale che indica un gioco di palcoscenico.Un gioco perpetrato da otto personaggi:Il maggiore Warren(Jackson),bounty killer nero affrancato,il cacciatore di taglie John Ruth(K.Russell) che tiene al cappio una letale fanciulla di nome Daisy Domergue(J.J.Leigh,autrice della migliore prova attoriale,giustamente valorizzata dall’Academy),il manigoldo poi sceriffo Mannix(Goggins),il vecchio generale Smithers(Bruce Dern),l’eccentrico e ciarliero boia Oswaldo Mobray(Tim Roth),il messicano Bob (Bichir) e il mandriano Joe Gage(Madsen).Un mix esplosivo?Mah,a esplodere è soprattutto una grandguignol di proiettili e arterie.La pellicola sconta un debito di qualità intellettuale notevole rispetto a “Django” o “Bastardi senza gloria”,i dialoghi non incidono come al solito.E’ verboso,logorroico come di consueto ma stavolta sembra una logorrea fine a se stessa,un gioco di società alla cluedo in cui non bastano la splendida fotografia,l’atmosfera suggestiva che ricorda volutamente “La Cosa” di Carpenter,la suddivisione in una stanza neutra (siamo in una baita nel Wyoming) dell’America sudista e nordista per valorizzare una sceneggiatura piatta in cui sono soprattutto i dialoghi a non incidere a sufficienza penalizzando la tensione narrativa.Ok a sparigliare le carte arriva il deux ex machina e arriva in modo irriverente e “da luogo” inversamente proporzionale rispetto al teatro antico ma non basta questa intuizione a valorizzare la pietanza.”Django” aveva una valenza storico politica molto superiore,non è sufficiente il contrasto stridente tra la “lettera” di Lincoln e il massacro collettivo,a dimostrazione di un America ancora lontana dal realizzarsi pienamente,per legittimare intellettualmente la pellicola.E' un particolare che scorre via inosservato nella marea di sangue versato.Un esercizio compiaciuto di stile che oscilla tra classicismo e pulp,tra kammerspiel e xenofobia.Insomma "Le Iene del West" lontane parenti de "Le Iene" che furono,speriamo sia solo un passo falso.Voto di Daniele 6,5 .Rigorosamente per appassionati cinefili.Alla prossima!

 

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