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Revenant - Redivivo

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su Revenant - Redivivo

di sasso67
8 stelle

Anche in Revenant la prima cosa che colpisce è la fotografia del prodigioso Emmanuel Lubezki, probabilmente il miglior direttore della fotografia attualmente in attività. I primi venti minuti di film, con l'attacco degli indiani Arikara ai cacciatori di pelli, sono spaventosi - con le frecce che arrivano micidiali da tutte le parti - alla pari del folgorante inizio di Salvate il soldato Ryan (1998) di Spielberg. C'è un'altra sequenza della quale sarà difficile dimenticarsi ed è quella in cui il protagonista è attaccato da un enorme grizzly: la scena sembra interminabile e l'impressione è che non solo il trapper Hugh Glass debba soccombere, ma anche lo spettatore si sente in pericolo.

Basato su un romanzo che narrava di personaggi esistiti realmente, Revenant è un film mitologico realizzato su uno sfondo estremamente realistico. Lo schema tipico di tutte le mitologie è quello di un eroe ingiustamente perseguitato, che muore e risorge, che si cura le ferite e che è aiutato da qualche buon samaritano. Solo che qui, essendo a Hollywood, è previsto anche lo scontro finale tra l'eroe e il suo nemico malvagio. Il personaggio di questo Hugh Glass può essere interpretato anche in prospettiva cristiana (è dato per morto e torna alla vita da sotto terra), ma è emblematico anche di una certa letteratura, di formazione e non solo: il suo rapporto con gli animali - la lotta con il grizzly, lo sventramento del cavallo morto per ripararsi dal freddo - ricorda pietre miliari della letteratura e dello spettacolo, americano e non, come Moby Dick, Pinocchio e Lo squalo, passando, volendo, per Jack London e per un certo filone del cinema western. Ormai privato della collaborazione di Guillermo Arriaga, il cinema di Iñarritu va via via facendosi più spettacolare, senza però cedere alcunché sul piano concettuale, e infatti Revenant è un'altra bella esposizione dell'eterna lotta tra il Bene e il Male, in una natura che imponderabilmente influisce in maniera decisiva sulle vite degli uomini e con i pellerossa già spinti a diventare inquietanti ombre bianche nei territori innevati della frontiera americana.

Forse soltanto il finale - che pare diverga da quello del libro da cui è tratta la vicenda - tradisce l'acquiescenza del regista ad esigenze prettamente hollywoodiane, con l'inevitabile resa dei conti tra il protagonista e il suo rivale.

Quanto alla prestazione di Leonardo DiCaprio, che ha fatto meritare l'agognato premio Oscar all'attore italoamericano, mi è difficile esprimermi, non avendo visto all'opera tutta la concorrenza. La mia personale simpatia andava a Bryan Cranston di Breaking Bad, in lizza per l'interpretazione di Dalton Trumbo nel film dedicato al grande sceneggiatore perseguitato durante il maccartismo, però non si può negare che la prestazione di DiCaprio sia stata davvero mostruosa e che abbia costituito, insieme alla già lodata fotografia di Lubezki, uno dei due pilastri più appariscenti del film. È da lodare, comunque, anche la prova di Tom Hardy, per mimetismo ed aderenza al personaggio dell'abietto Fitzgerald.

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