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Revenant - Redivivo

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su Revenant - Redivivo

di ed wood
7 stelle

Capolavoro non doveva essere e capolavoro non è stato. Un bello spettacolone hollywoodiano in piena regola, realizzato con tutta la professionalità del caso e col pregio di reggere le due ore e mezza di durata, nonostante un copione ridotto all’osso. La vicenda e i temi trattati sono tra i più elementari: classica storia di vendetta, che oppone un personaggio buono-buono ad uno cattivo-cattivo (più tutta una serie di “aiutanti”, puramente funzionali al conflitto principale). Difficile trovare nel cinema contemporaneo un manicheismo così spinto. In epoca di relativismi e crisi morali di ogni sorta, è quasi commovente assistere ad un film così incredibilmente piatto, così scontato negli sviluppi (?) psicologici.

 

Praticamente, l’atmosfera nevosa e montanara è quella di un “Terra Lontana” di Anthony Mann, ma senza un briciolo della sua complessità ed ambiguità tematica. Ovviamente, non si tratta dell’unico debito di questo film, che rastrella idee ed immagini un po’ dappertutto: dalle iniziali inquadrature malickiane (“New World”) al primo attacco degli indiani (con la mdp nel bel mezzo del combattimento, per un effetto simile all’incipit di “Salvate il soldato Ryan”), dalla sepoltura del vivo (la sposa di “Kill Bill”) fino al teatrino di diffidenza, avidità e menzogna rappresentato (con molta più tensione) in classici del cinema avventuroso come “Il tesoro della Sierra Madre” di Huston. La lista di riferimenti è molto lunga e, in generale, tutto il film lascia un’impressione di deja-vu.

 

Se l’originalità non si trova certo nella trama, si potrebbe almeno cercare nello forma. Peccato che non c’è nemmeno qua. O per meglio dire: Inarritu gira bene, con efficacia, ma fatica ad imporre un proprio sguardo, una propria idea di cinema. Forse perché, di fatto, Inarritu non è un autore, ma un specie di jolly, ben preparato tecnicamente (anche perché ha saputo radunare l’elite nei rispettivi campi: Lubezki, Sakamoto, Fisk, DiCaprio etc…), adatto a gestire con successo qualsiasi produzione ad alto budget. Un po’ come Ron Howard, per dire. Ripercorrendo la carriera del messicano, appare sempre più difficile trovarne un filo logico: i primi film “corali” devono gran parte della loro identità agli script di Arriaga, “Birdman” è stata un’inversione ad U (per forme e contenuti), “Revenant” un’ulteriore svolta drastica. Il prossimo film cosa sarà? Punterei un euro sulla commedia brillante, con la Aniston come protagonista (ci può stare tutto).

 

L’unica costante in tutti questi film è una certa “fisicità” nella messinscena, non senza incursioni nella sgradevolezza pura (in “Revenant” non mancano abbondanti dosi di carne viva e budella al vento). Fisicità ed intensità che sono senz’altro pregevoli e fanno la differenza fra un film da 5 e uno da 7, fra il mediocre e il discreto (lo dimostra il fatto che “Burning Plain”, scritto e diretto da Arriaga, non ha lo stesso vigore dei primi film di Inarritu). Se c’è un’idea forte, sul piano formale, in questo film è quella di far sentire lo spettatore perennemente all’interno della scena, tenendo la mdp ad altezza di pancia, sfruttando soggettive e piano-sequenza per dare questo effetto immersivo. Certo, una bella idea, anche se poi è tutto da dimostrare che un attacco indiano percepito dall’accampamento dei coloni (con tanto di frecce che passano ad un metro dalla mdp per infilzare cowboys in primo piano) sia più avvincente delle classiche sinfonie di piani americani e campi lunghi di cui era maestro un certo John Ford…

 

“Revenant” è divertente, ma del tutto privo di profondità e di sottotesti. Il discorso sull’integrazione con gli indiani, sulla ferocia dell’esercito americano, sul fantasma di quell’ultimo valore western che era la cosiddetta “amicizia virile”, sull’homo homini lupus (telefonatissime le metafore “bestiali,” col protagonista che indossa la pelliccia d’orso e trova riparo in una carcassa di cavallo), sulla Natura matrigna, gli sporadici cenni al cristianesimo sono tutte questioni prive di sviluppo, puramente funzionali alla narrazione, fino al colpo bassissimo dello spiegone finale con tanto di lezioncina sul non-senso della vendetta. Inutile cercare sotto la superficie di “Revenant”: non c’è niente. C’è solo il puro e piacevole, anche se per nulla eccezionale, spettacolo. Piuttosto, è ironico constatare come nel precedente film, Inarritu raccontava la storia di una star di film supereroici che voleva dimostrare di saper fare anche altro (il teatro), mentre in “Revenant” lo stesso regista narra di un personaggio “sfigato” che però finisce per diventare una specie di highlander, un superman a cui ne capitano di tutti i colori ma che riesce sempre in qualche modo a salvare la pellaccia!

 

Capitolo DiCaprio: sono talmente divertenti i tormentoni web sul suo digiuno di premi Oscar, che sarebbe bello che non vincesse neanche questa volta, in modo da avere almeno un altro anno di vignette divertenti! Obiettivamente però, meriterebbe un riconoscimento, anche se non per questo film (dove sia lui che Hardy possono fare ben poco: il primo mugola e soffre per tutto il film, il secondo si adagia sulla più tipica parte da villain). Avrebbero dovuto darglielo per J Edgar, altrochè! Quella era la sua parte della vita, sfaccettata, col salto da giovane a vecchio etc…Certo è che, per una fortuita coincidenza (?), la parte che DiCaprio interpreta in “Revenant” somiglia tanto alla sua eterna corsa all’Oscar, riassumibile col motto: non mollare mai!

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