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Codice criminale

Regia di Adam Smith (II) vedi scheda film

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La recensione su Codice criminale

di FabioGiusti
6 stelle

Il senso dell’opera prima di Adam Smith è, di fatto, tutto nel suo titolo originale.

Quel Trespass Against Us che, oltre a citare il Padre nostro, evidenziando così la natura fortemente biblica del dramma familiare rappresentato, suggerisce il radicale ribaltamento di prospettiva da parte di una comunità di trasgressori che, pur percependosi come tale, vive il mondo esterno come una minaccia verso l’integrità del proprio status di outsider.

Se il patriarca Colby richiama alla mente la figura di padre burbero di quel capolavoro sottovalutato che è Niente per bocca di Gary Oldman (del resto il protagonista di quell film, Ray Winstone, e Gleeson sono attori simili e quasi intercambiabili, non solo per stazza), la visione del nucleo familiare vissuto come comunità chiusa e autosufficiente non può non ricordare Animal Kingdom.

Anche se il fulcro di Codice criminale è senza alcun dubbio Fassbender che, oltre a indovinare il primo film da Steve Jobs, dona al personaggio di Chad tutta la complessità insita nel trovarsi in bilico tra un ambiente che, per quanto inospitale, si è abituati a percepire come casa e la volontà di garantire ai propri figli un future migliore.

 

Attraverso di lui Smith costruisce un apologo (anti)morale in cui il pubblico è, per forza di cose, costretto a empatizzare con idealtipi umani sgradevoli le cui azioni non vengono mai in alcun modo giustificate – come parte della critica estera ha erroneamente sentenziato – ma semmai contestualizzate.

Man mano che il protagonista sviluppa una coscienza più lucida muta anche lo stile visivo del regista che, da documentaristico, si fa più astratto fino a un finale che, nel suo aprirsi al sogno come ultimo spiraglio di speranza, in parte pregiudica la componente più cupa e noir della pellicola.

Ma, se si considera come l’insospettabile punto di partenza ispirativo dietro questo Codice criminale sia la sgangherata comunità gitana descritta da Emir Kusturica in Gatto nero, gatto bianco, anche il suo epilogo sembra acquisire un senso.

È un film bello e potente Codice criminale, con un paio di scene di livello assoluto (la corsa in macchina iniziale e la fuga notturna di Fassbender tra i boschi), due protagonisti in stato di grazia e giusto qualche caduta di ritmo.

Oltre al fatto di porre l’attenzione su un fenomeno sociale, quello dei pavee, poco rappresentato al cinema, se non in misconosciuti (e soprattutto mal distribuiti) film irlandesi come King of the Travellers  di Mark O’Connor e il bel documentario del 2005 Pavee Lackeen.

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