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Gli ultimi fuochi

Regia di Elia Kazan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gli ultimi fuochi

di Kurtisonic
8 stelle
"Non potrò mai abituarmi a come scende la notte qui, così rapidamente. Non c'è crepuscolo..." 

Per fare luce sul percorso di vita, su quello artistico e sulle sue scelte, prima lineari poi discutibili, accusato di ambiguità o peggio, ad un regista quale Elia Kazan ci si può provare ad avvicinare configurando i più tipici personaggi dei suoi film. Benchè allineati ad una visione classica di conquista e di ascesa sociale, i suoi protagonisti sanno che per giungere allo scopo prefissato, anche quando sarà marcatamente inutile farlo, dovranno accantonare i propri valori e in qualche modo mortificare la propria identità. Gli ultimi fuochi rappresenta un' epigrafe cinematografica, un atto testamentale non di una resa, ma di una sensazionale e struggente presa d'atto. Il film è costruito su di un confronto fra il mondo hollywoodiano dei frenetici anni 30, già asfissiato da tutti i suoi vincoli interessati, dai clichè e dalle manie dello star sistem, da quelle regole espressive che lo affrancheranno dalla realtà più prossima, con la crisi esistenziale di uno spietato produttore cinematografico, Monroe Stahr (un De Niro maiuscolo, nel suo periodo migliore) le sue vicissitudini personali gli apriranno gli occhi sulla staticità e sul tramonto di quella forma cinematografica che lo ha arricchito. Kazan, fondatore dell'Actors studio, dimostra di sentire il vento del cambiamento, conosce il prezzo delle sue scelte stilistiche e ideologiche, non privo di quelle contraddizioni che lo resero indefinibile, formalizza nella figura di Monroe una buona parte di questo percorso, ne rivela anche tutta l'amara caduta, l'inadeguatezza, il senso nascosto e profondo della sconfitta o più banalmente di un tempo che sfugge di mano. Kazan compone un affresco amalgamando commedia e melodramma senza forzarne i toni, sottolinea malinconicamente il passato senza mascherarne i difetti. Il mondo della finzione è tuttavia il miglior posto in cui stare, dove si spiega che per ricreare un terremoto "si ruota la macchina da presa o si ruota una stanza" (mentre quando irromperà una scossa sismica durante il film, la scena dei soccorsi prestati al mondo dell'immagine dentro gli studios è miracolosamente in bilico fra il senso di realtà e di finzione, come l'apparizione di Cathleen nella stessa sequenza, la donna di cui Monroe s'innamora perchè somigliante alla moglie scomparsa). Gli attori stessi vogliono rimanere dentro il set per rifare le stesse scene alla ricerca di una presunta perfezione, dove lo stesso protagonista si rifugia nell'indimenticabile finale abbandonandosi al buio degli studi di ripresa ormai vuoti. La vita vissuta si trasforma in quella recitata, secondo un copione già scritto come nella tradizione più classica, ma in questo caso è inconsapevole e fuori controllo dagli stessi protagonisti che ne subiscono la mancata corrispondenza.  Il regista riesce a contenere il senso tragico più evidente, lo dissemina fra i vari personaggi (con un cast di alto livello) mentre a Monroe spetta tutta l'ingratitudine di quel mondo che si è edificato grazie alla meticolosità, alla passione, al lavoro, all'impegno di esseri umani fragili o determinati che siano ma che hanno saputo estrarre il meglio da ciò che avevano fra le mani. Quarant'anni dopo Gli ultimi fuochi possiamo condividere o meno le sorti del punto di vista di Kazan, quale direzione possa seguire la fabbrica dei sogni e se sia lecito ancora chiamarla così dopo tante trasformazioni. Di certo sarebbe ingiusto ridurre aprioristicamente la portata di quel passato senza il quale anche il cinema postmoderno non troverebbe nè luce nè vie di fuga. 

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