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Sicario

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sicario

di ohdaesoo
8 stelle

presenti spoiler

Se con soli due film mi ero azzardato a dirlo adesso con 3 mi sento un pò più tranquillo nel ribadirlo.
Villeneuve è uno dei più grandi registi moderni.
La folgorazione che fu La Donna che cantame l'aveva già fatto pensare, poi la conferma con Prisoners, uno dei veri grandi thriller hollywoodiani contemporanei, e adesso questo Sicario.
Buffo che del regista canadese mi manchi, tra gli altri, proprio quell' Enemy che vorrei vedere da due anni ma che purtroppo rimando di continuo perchè tratto da un libro che amo infinitamente, l'Uomo Duplicato di Saramago.
Mentre molte persone non resistono a vedere i film che più vogliono vedere per me è il contrario, sono quelli che rimando più a lungo.

Polytechnique invece non lo trovo, c'ho quasi rinunciato.
(non so se avete notato come tutti i titoli di Villeneuve, 6 su 6, siano composti da una sola parola, ricordando che il vero titolo della Donna che canta è Incendies).
Se Prisoners, come detto, era la dimostrazione di come si possano ancora fare grandi thriller milionari allora Sicario ne è solo la conferma. Ed è giusto che a darla sia lo stesso regista.
Ci troviamo dalle parti, se proprio devo dare un titolo, di Traffic, ovvero storie di cartelli di droga, poliziotti corrotti e tanti tanti morti.



L'incipit, bellissimo, ricorda più il mondo dell'horror a dir la verità, con quella casa degli orrori che farebbe invidia a tanti film di quel genere. Ma, storia a parte, i primi minuti servono per capire che razza di regia è quella di Villeneuve, piena di riprese aeree mozzafiato (le città nel deserto e il deserto stesso, il viaggio delle 5 automobili tra i caselli), camera car impressionanti e di almeno 4,5 tipologie diverse (non avrei mai detto che un camera car poteva avere così tanti usi), fotografia splendida (ma aspettate, perchè è alla fine che raggiungerà livelli altissimi), una fluidità sia nelle riprese statiche che in quelle dinamiche portentosa. Villeneuve è puro cinema, magari non puro "autore" come quelli con la puzza sotto il naso diranno -che se uno ha i budget poi autore non è più- ma puro cinema.
E sa dirigere gli attori come pochi. I protagonisti di Incendies, quelli di Prisoners, e ora la Blunt, il Del Toro e il Brolin (in un ruolo molto simile a quello di Vizio di Forma) di Sicario, tutte prove memorabili.
In realtà non tutto funziona nel film.
Innanzitutto credo che le parti migliori siano quella iniziale e quella finale. In mezzo ad un certo punto per quasi un'oretta si ha la sensazione che il film non decolli, che non abbia un propria storia principale, un obbiettivo, che sia soltanto una serie di belle scene che alla fine, emotivamente, non ti coinvolgono mai troppo. E' come se fossimo in un encefalogramma piatto, non basso, anzi, abbastanza alto, ma sempre piatto.



E il personaggio di lei l'ho trovato un filo esagerato nel suo essere per forza "dentro" la legge. Il film racconta di criminali assassini che uccidono innocenti, che li torturano, che li mutilano (che scena quella dei corpi appesi visti con una panoramica circolare dall'auto, che scena...), che comandano il confine tra Usa e Messico con i loro giri di droga. E per sgominarli non sempre si possono seguire procedure standard, anzi, è impossibile fermarli solo con quelle. Quindi io nel lavoro della squadra di Brolin e Del Toro c'ho visto un male necessario. Capisco il punto di vista di Kate (il personaggio della Blunt) ma non la sua, quasi "stupida", ostinazione. E a questo proposito, in un personaggio così "puro" e senza macchie ho trovato sbagliata anche la bellissima scena finale, quella della pistola puntata dal terrazzino. Per un personaggio che per tutto il film non accettava che si uccidessero criminali assassini mi è sembrato davvero fuori luogo che potesse anche solo pensare di compiere un gesto mille volte meno etico e giustificato.
Poi sia narrativamente che visivamente il film porterà ad un'ultima mezz'ora da estasi cinematografica.
Ecco allora il senso di tutto, ecco il vero obbiettivo di tutte quelle confuse operazioni all'apparenza quasi scollegate una dall'altra. Il film si trasforma e non è più il film della lotta tra lo Stato e i Cartelli, ma quello della vendetta di un uomo.
Un solo uomo al quale erano state fatte cose indicibili.



Ed ecco che anche il titolo acquista senso.
Del Toro torna a quello che era 20 anni fa e nel finale regge da solo il film. Tutti gli altri sono dimenticati, non esistono più.
Prima, però, prima ci sono 10 minuti impressionanti, quelli del tunnel.
Riprese in infrarossi, alcune a luce naturale del tramonto, altre "termiche", poi quella sempre a luce naturale all'entrata del tunnel, poi le lanterne. E un montaggio grandioso che ce le alterna continuamente.
Visivamente assistiamo a uno spettacolo come raramente ne vediamo in sala. Sì, magari molto videogame, ma bellissimo.
Ma avevamo parlato di Alejandro (Del Toro) e della sua vendetta.
E adesso lo ritroviamo in una villa di impressionante bellezza, seduto a tavola insieme ad una famiglia di messicani.
"E' il momento di vedere Dio" fa Alejandro.
Ma prima di farglielo vedere preferisce fargli vivere per almeno un minuto l'inferno sulla Terra.
Quell'inferno che visse lui e che ancora lo brucia con le sue fiamme.
Solo il tempo di fargli capire cosa si prova e poi parte l'ennesimo colpo di pistola, una pistola che non sbaglia mai.
Rimane un campo polveroso da calcio dove si svolge un'irreale partita, degna di un famoso cartone animato di un tempo.
Qualche sparo in lontananza, qualche altro piccolo giocatore che rimarrà orfano probabilmente.
E' una terra di lupi, dice Alejandro.
Tu non lo sei, vai via da qui.

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