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Cloro

Regia di Lamberto Sanfelice vedi scheda film

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La recensione su Cloro

di OGM
7 stelle

Il cloro disinfetta. Il cloro toglie il respiro. L'alienazione è un'asfissia trasparente come il vetro, lucida come la neve appena caduta. Dentro ci si può vivere, a patto di rinunciare ai colori che, un tempo, si amavano. E ridurre ogni cosa a pura forma, a sagoma invisibile, ad un contorno riempito solo dai sogni.

Sradicamento. Riadattamento. Jenny abita a Ostia,  ama il nuoto ed il suo mare. Ma la vita vuole che quella giovane campionessa si debba separare da entrambi, per trasferirsi in montagna, in mezzo alla neve, sui campi da sci. Il destino ha improvvisamente  trasformato la sua normalità in un sogno impossibile, sostenuto da smanie segrete, coltivato a suon di debolezze clandestine. Sua madre è morta, suo padre ha perso prima il senno, poi il lavoro, quindi i soldi e l’appartamento. L’unico rimedio è quella vecchia baita dello zio, situata tra un hotel poco frequentato e un piccolo skilift: una costruzione di legno in cui si muore di freddo e la doccia ha il tubo rotto. Jenny deve smettere di pensare a se stessa, per badare al fratellino Fabrizio, e a quel genitore diventato ormai irriconoscibile, inaffidabile, incapace di tutto, Si ritrova così  a fare la cameriera, a casa e in albergo, durante il giorno e alla sera. La sua esistenza è ora segnata da un labirinto di percorsi obbligati, di orari da rispettare, di autobus che non si possono perdere, di minuti liberi da sfruttare come beni preziosi. Il suo tempo è un affanno strappato alla lotta per la sopravvivenza, una ricerca della solitudine come espressione di una libertà che non vuole morire, di una continuità che resiste agli attacchi di un mondo che ha mutato volto, che ha assunto un aspetto estraneo ed ostile. One-two-three-four,five,six,seven.  Il ritmo dell’allenamento è ripetitivo ed incalzante, accelerato sul finale come per rabbia, mentre gambe e braccia, anziché danzare nell’acqua, si ritrovano a fendere l’aria ghiacciata: un elemento che rimane indifferente e immobile, che non risponde ai suoi gesti, che non accompagna l’armonia musicale dei suoi passi. Ci sono situazioni in cui tutto si ferma: per quanto ci agitiamo, non c’è più nulla, intorno a noi, che faccia schiuma. È la crisi dell’azione, che è completamente uscita dalla sua consueta cornice, che ha perso il suo naturale interlocutore. È la causa sospesa, slegata dall’effetto, costretta a cercare rifugi provvisori e temporanee illusioni di familiarità. Come innamorarsi di uno sconosciuto, uno straniero, un profugo che tutti considerano un po’ matto. O fare finta di essere altrove, e che non sia successo nulla di grave, che la piscina dell’albergo sia a tua disposizione, e che papà possa, come sempre, provvedere ad ogni cosa, comprese le pratiche per il cambio di scuola.  La fantasia è una forza che, stringendo i denti, fa arretrare la verità, confinandola nella fugace e fragile dimensione dell’incubo, della notte di tormenti che svanirà al risveglio.  Si può forse addirittura approfittare di quella labile finzione, per  pilotarla verso il minor male, quello che proviene dalle occasioni proibite, colte al volo prima che sia troppo tardi. Una folle discesa con lo slittino. Un attimo di appassionata trasgressione. L’esilio dalla realtà abroga le regole, e, in un certo senso, tutto allora diventa possibile. Come camminare nudi per i prati. Come dormire in un casotto abbandonato. Come immaginarsi a testa in giù. La diversità, imposta dalle circostanze, impressa nelle condizioni materiali,  esplosa nel disagio mentale, può tradursi, per la ragione,  in un ampliamento o un’inversione della prospettiva, che, abolendo la consuetudine, crea nuovi spazi. Jenny sente il vuoto. Non riesce a riempirlo. Lo vede allargarsi, fino ad accentuare la distanza del ricordo, fino ad includere un’assurda idea di morte, ed un’incomprensibile intrusione della religiosità, venute a marcare, in via definitiva, i duri contorni dell’abbandono. Eppure non smette di ribadire il proprio essere, benché privato della sua collocazione logica,  espulso dal suo sistema di significati, e apparentemente reso inservibile.  Il film di Lamberto Sanfelice immerge il nostro sguardo, con limpidezza e semplicità, dentro lo sconfinato oceano dell’alienazione. Lo imprigiona delicatamente in quella gabbia invisibile che ci avvolge, in sostituzione del nostro tuttoche non c’è più:  un universo che è scappato via, che è corso a nascondersi, lasciandoci al buio, ad andare a tentoni, alla disperata ricerca di un’uscita che non sappiamo come sarà. 

 

Sara Serraiocco

Cloro (2015): Sara Serraiocco

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