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Nessuno si salva da solo

Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film

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La recensione su Nessuno si salva da solo

di LorCio
6 stelle

Nel presentare Nessuno si salva da solo (titolo pesante), Sergio Castellitto ha messo in mezzo questioni un po’ antiquate, dal privato che è la vera politica alla crisi economica che è anche una crisi sentimentale e via dicendo. Castellitto, ultimo istrione nostrano (e la sua regia si percepisce: c’è il sentore di una sorta di recitazione “alla Castellitto”), torna regista per mettere in scena un altro romanzo della moglie Margaret Mazzantini, seguendo una strada assai personale di comunione tra scrittura e visione per certi versi vagamente malvista ed autoreferenziale (il marito che gira i romanzi della moglie e, per dire, fa capitolare in scena le copertine di altri libri: qui c’è Non ti muovere in bella vista in libreria) ma anche rara per il dialogo tra pagina ed immagine. La storia è quella di Delia e Gaetano, che si sono follemente amati per otto anni, colti in un gioco al massacro durante una cena in cui si vomitano addosso tutto il dolore accumulato. Film assolutamente d’amore se non proprio melodramma assoluto, come raramente, in effetti, capita nel nostro cinema, è una tappa significativa nel coerente percorso del cinema fisico di Castellitto. Fondato sulla credibile alchimia dei due protagonisti, al meglio delle loro potenzialità, racconta, talvolta in modo anche fin troppo esplicito, l’istinto amoroso che si fa sessuale, la repulsione che diventa violenza, l’odio che non può che essere anche amore. Laddove non funziona, e cioè nel tentativo di collegare i frammenti del discorso amoroso tra due soggetti alla pari in un trionfo di sentenze, isterismi e pedanterie da romanzo sentimentale italiano contemporaneo, regge per la struttura narrativa in cui il presente del rancore si scontra brutalmente col passato dell’idillio e allude, almeno nel finale, all’ipotesi di un futuro (im)possibile. Eppure non si capisce perché un film così sfacciatamente pop(olare) debba auto legittimarsi con una metafora sociopolitica abbastanza modesta.

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