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Ocean

Regia di Tamara Drakulic vedi scheda film

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La recensione su Ocean

di OGM
7 stelle

Oltre l’oceano c’è il nulla. Non c’è proprio niente. Così credevano gli antichi, tanto che non si azzardavano a provare ad attraversarla, quella distesa d’acqua affacciata sul vuoto. Si può idealmente associarla all’idea della morte, di un viaggio lungo quanto un addio, che non vorrebbe mai approdare, che continua ad attendere, a rinviare all’infinito il momento della fine. Per Tamara, autrice, regista, interprete e protagonista di questo film, varcare l’Atlantico è come protrarre l’attesa dell’eterno commiato dal suo amico Tony, conosciuto quando era già malato, frequentato solo per accompagnarlo nei suoi ultimi giorni. è il prolungamento di un percorso intrapreso tempo prima con una meta  predeterminata ed ineludibile, non desiderata da nessuno, ma che qualcuno ha saputo imparare ad amare. Tamara vuole mantenere fede al tacito impegno di non smettere di inseguire la bellezza anche in mezzo a quello sterminato spazio deserto, dove l’umanità è assente e la realtà sembra sospesa.  Tamara naviga, imbarcata su una nave da carico; guarda il mare, e aspetta. Pensa e scrive. Passeggia per il ponte e ripete sempre gli stessi gesti, che in parte non sono suoi, e che magari non capisce del tutto, benché vi partecipi con innocente gioia: leggere una mappa nautica, studiare il francese,  lanciare un pallone sonda meteorologico. Abituarsi placidamente all’estraneità dell’oltre, assecondare pazientemente la sua inafferrabilità, sforzarsi di farne un territorio di scoperta. Questo è il compito che Tamara si è assegnata, mentre rincorre, in luoghi lontani ed inesplorati, tutti quei significati passeggeri che, a casa propria, non è riuscita a cogliere al volo: la sfumatura linguistica di un vocabolo, i segreti delle lingue, le imperfezioni della tecnologia, la fragilità di una stella, le storie che si nascondono  dietro tutto ciò che sembra potente ed immutabile. Occorre restare in silenzio, e con l’animo docilmente disposto all’ascolto, perché il mondo venga, con il soffio tiepido del suo sussurro, a lenire le pene del cuore. Tamara lo sa, e sa anche che ciò può avvenire solo con la complicità discreta e devota del pensiero. Questo film può sembrare scarno, povero, monotono, inutilmente diluito intorno ad una contemplazione pigramente rarefatta, rallentata dalla noia. È una cronaca che si perde nell’inconsistenza degli attimi che giungono anonimi, sconosciuti, tutti apparentemente identici ed ugualmente sfuggenti. Si fa fatica a trovare loro un nome. Tamara ci prova, con un doloroso sforzo di riflessione, che usa la fantasia come una forma di saggezza. Il frutto di questa impresa è sofferto, contenuto, dimesso, eppure mai arrendevole, nella sua ricerca di una suggestione che non sia solo un’incomunicabile cadenza del sentire individuale, bensì aspiri, nel suo piccolo, ad attingere all’universalità: quella dei miti, delle fiabe, dei cliché, delle semplificazioni che aiutano a parlare, delle esagerazioni che aiutano a sognare. Del resto, l’uniformità e la grandezza sono le caratteristiche delle verità a cui aspiriamo: le verità delle religioni e delle ideologie, chiamate a sovrastare il mistero del tutto con i loro slogan di poche parole, impressi a caratteri cubitali sulla volta del cielo. C’è chi, con un colpo d’occhio, si accontenta di vederli dalla finestra della sua stanza. C’è invece chi decide di percorrere migliaia di chilometri, fino all’altro capo del globo. Non illudendosi di scoprire, laggiù, la mano che ha scritto il messaggio. Ma solo per essere sicuro di averlo letto per intero.  

 

scena

Ocean (2014): scena

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