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Senza Lucio

Regia di Mario Sesti vedi scheda film

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La recensione su Senza Lucio

di barabbovich
7 stelle

Lucio Dalla nacque il 4 marzo del 1943. il 4 marzo del 2015, a tre anni e tre giorni dalla morte, il documentario del critico cinematografico Mario Sesti celebra uno dei personaggi più eclettici e irregolari della canzone italiana con un film che è filologico rispetto al titolo. Senza Lucio racconta cioè un'assenza: innanzitutto quella vissuta da Marco Alemanno, quasi 40 primavere di differenza con Dalla e suo compagno di vita da molti anni. Con la sua voce magnifica, pacata e avvolgente, Alemanno - che non compare mai in video se non in una breve ripresa domestica di repertorio - si sofferma soprattutto sul lato umano del personaggio Dalla, tira fuori dal cassetto una serie impressionante di foto inedite, intime, che ritraggono il cantautore bolognese nella quotidianità. Ma l'assenza viene raccontata, a complemento delle parole di Alemanno, anche dai tanti che lo hanno conosciuto: dagli stranieri come Paolo Nutini e John Turturro, entrambi di origini italiane, a chi ha lavorato con Dalla nel cinema (Paolo Taviani, Mimmo Palladino) e nella musica (Stefano Di Battista, Beppe d'Onghia ma anche Paola Pallottino, che con Dalla scrisse i primi straordinari successi), fino al priore di Bose, Enzo Bianchi. Ne esce il ritratto di una persona generosissima, piena di talento, di curiosità insaziabile e con un'energia spaventosa e contagiosa, incapace di limitare la sua creatività al mondo della musica. Ma emergono anche aspetti parzialmente inediti: la sua presunta telepatia, l'amore debordante per la Puglia, la Sicilia e le isole Tremiti, la religiosità, la riservatezza, le difficoltà nel parlare di quel padre morto quando lui aveva 7 anni e sul quale si sono fatte le ipotesi più azzardate nell'esegesi di 4.3.1943 ("dice che era un bell'uomo e veniva... veniva dal mare"). Un ritratto complessivamente toccante, insolito, nel quale il vero protagonista non si vede mai nell'iconografia più corriva (concerti, interviste) né lo si sente mai eseguire canzoni, che sono invece tutte affidate ad altri: Marta sui Tubi, Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Peppe Servillo e un inascoltabile coro che si chiama Novesesti. Se sul piano dei contenuti - a parte le consuete smargiassate di Ernesto Assante - il documentario è toccante e originale tanto quanto lo è la scelta delle canzoni (Le rondini, Ulisse coperto di sale e Felicità non sono esattamente tra i brani più noti), su quello della forma il film rivela goffi tentativi di calligrafismo, una miriade di immagini usate in maniera illustrativa e didascalica (si parla dell'Etna e vi vede l'Etna…) e un uso ai limiti del ridicolo del sonoro anticipato. Ma gli aneddoti di Arbore e l'impagabile rievocazione della loro amicizia adolescenziale da parte di una sempre stupefacente Piera Degli Esposti da soli valgono il prezzo del biglietto.

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