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I tre giorni del Condor

Regia di Sydney Pollack vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I tre giorni del Condor

di Immorale
9 stelle

Un film profondamente “incastonato” nel suo tempo: difficilmente infatti si potrebbe immaginare un’ambientazione differente per una storia di spie, false verità e disillusione se non quella americana degli anni 70. La guerra in Vietnam, il Watergate e l’autunno della “stagione dell’amore” degli anni 60, sfociata in cortei e proteste contro l’inafferrabile potere centrale, avevano ormai cambiato definitivamente  il punto di vista dell’americano medio (almeno in campo democratico), non più fiducioso sulle sorti radiose della nazione nel pieno della “fangosa” lunga fase della guerra fredda.

 

Pollack è abilissimo nel ricreare l’atmosfera figlia di questi eventi, in una tipica produzione anni 70 tutta colori spenti e fotografia fumosa, dipanando gli eventi della sua paradigmatica storia. Hitchcockiana nell’ispirazione del lungo incipit (anche se il personaggio di Turner non è propriamente la classica persona comune alle prese con eventi eccezionali), ma tutta pollackiana nel dipanarsi del mistero legato al “ritiro” forzoso di una (apparentemente pacifica) cellula di analisti della C.I.A. operante a New York.

 

 

Il nostro inizialmente zelante e “spensierato” eroe, l’agente Condor del titolo, (un iconico Robert Redford) si aggira quindi in una gigantesca ragnatela kafkiana di eventi tragici, sotto la maschera del thriller, che lo aiuteranno a comprendere, gradualmente, che le risposte alle sue molte domande non esistono, o sono talmente assurde da non giustificare, ai suoi occhi non più ingenui, il prezzo umano pagato per uno stupido gioco di ipotesi.                                                                                                                             Impeccabili sia la regia (da antologia la resa delle riprese alternate nella scena d’amore “fotografica” tra il protagonista e Faye Dunaway) che i protagonisti: il già citato Redford, il machiavellico Cliff Robertson (l’agente Higgins) e l’ottimo Max Von Sidow (nei panni di un glaciale killer a pagamento).

 

 

L’unica pecca risiede, a mio avviso, in una eccessiva caratterizzazione “superomistica” dell’agente Condor, il quale, pur non essendo come già detto un tipico uomo comune, riesce a tenere incredibilmente (e un po’ troppo professionalmente) in scacco C.I.A. e killer vari senza possederne, almeno in vitro, la preparazione necessaria (forse pesò il suo “status” di star già affermata). Un peccato veniale, comunque, quanti altri registi riuscirebbero a spiegare la propria “poetica” politica con un unico e breve scambio di battute, quello finale tra Higgins e Joe Turner ?

 

 

“”Higgins: Il problema è economico. Oggi è il petrolio, tra dieci o quindici anni il cibo, plutonio, e forse anche prima. Che cosa pensi che la popolazione pretenderà da noi allora?
Joe: Chiediglielo.
Higgins: Non adesso, allora! Devi chiederglielo quando la roba manca, quando d'inverno si gela e il petrolio è finito, chiediglielo quando le macchine si fermano, quando milioni di persone che hanno avuto sempre tutto cominciano ad avere fame. E vuoi sapere di più? La gente se ne frega che noi glielo chiediamo, vuole solo che noi provvediamo.””       

(fonte Wikipedia)       

 

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