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Il diritto di uccidere

Regia di Gavin Hood vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Il diritto di uccidere

di M Valdemar
8 stelle

 

locandina

Il diritto di uccidere (2015): locandina

 

 

Potesse l'occhio nel cielo non solo guardare, scrutare, spiare, infilare i suoi infallibili occhi tecnologici nei più reconditi luoghi del conflitto (fisico e umano), ma anche decidere ... scagliando i suoi chirurgici arti armati sulle vie del pericolo ... E invece no, non può farlo: il potentissimo drone - mistico strumento architettato per suonare l'ineffabile melodia che sentenzia destini e morte - è fatale, esplosivo strumento nelle mani degli uomini.
E così risuona, oscuro e ossessivo come un loop che penetra tossico sottopelle, il bastardissimo gioco della guerra: (lotta al) terrorismo e dintorni (torbidi, melmosi, mutevoli, corrotti e corruttibili).

Lupi da una parte (nato-inghilterra-usa-civiltà-occidente) lupi dall'altra (jihadisti-Al-Shabaab-africa orientale). Nel mezzo, un Paese alleato (Kenya) terreno di scontro, e i danni collaterali. Sottoforma di civili, innocenti, ignari.
Da cui il dilemma: ha più "senso" (ammesso che di senso si possa parlare ... no, non c'è alcun "senso") salvare una bambina sola oppure scongiurare un potenziale - probabile - duplice attacco kamikaze da decine e decine di morti (perdendo inoltre le tracce di tre tra i più ricercati terroristi) e quindi abbandonare la piccola nel limbo del calcolo delle probabilità?
Dilemma semplice e semplicemente complesso. Controverso, impossibile, irrisolvibile.
Non c'è scelta che liberi da fardelli e colpe né decisione che non provochi tragici effetti.
Quindi si torna all'occhio nel cielo (Eye in the Sky il titolo originale: l'italica traduzione, 'Il diritto di uccidere', come molte altre volte tradisce, banalizza, semplifica, mortifica). Dall'altra parte: da chi decide, ordina, comanda, demanda, aziona, controlla, coordina, pianifica, studia, scruta tra le subdole maglie - all'occorrenza dilatabili/restringibili/manipolabili - dell'opportunità, della ragionevolezza, delle conseguenze minime ovvero di quelle meno sgradevoli per governi, stampa, opinione pubblica ...
Nel cambio di prospettiva/e tutta la fragilità del piccolo grande mezzo a mollo nei cieli. Prospettive: è il pregio essenziale del film diretto da Gavin Hood (non un granché, finora, la sua carriera registica) e scritto da Guy Hibbert.
Eye in the Sky sviscera in maniera approfondita, lucida, equilibrata, credibile, intelligente le anime tutte di questo drammatico gioco dei ruoli; proponendo e indagando le - tanto ovvie quanto rischiose - implicazioni morali, etiche, politiche e geopolitiche, legali, militari, pubbliche, propagandistiche e mediatiche (uno scintillio improvviso che accende fuochi ingovernabili la modifica della missione da "cattura" a "uccisione"; breve e viscido è il passo da "cosa è giusto fare" a "cosa conviene fare per avere l'opinione pubblica dalla propria parte").
Esemplare per toni, contenuti, per il trattamento della/e materia/e, l'opera si rivela altresì impeccabile per la resa drammatica, visiva, narrativa (con una trama tra Homeland e ZDT), sonora: insomma, squisitamente cinematografica. Agendo abilmente per unità di luogo e di tempo: nello spazio di poche ore, con la sensazione/scansione martellante del "tempo reale", un continuo, ragionato dialogare tra riprese dell'occhio nel cielo (e ingegnosi "fratellini" - i piccoli veicoli alati - sul campo) con le zone-menti dell'azione (sublime l'infinito scaricarsi la palla incandescente dei pupari/burattini rappresentanti le varie fazioni delle autorità) e con la dimensione - sempre "collaterale", casuale, trascurabile - dell'obiettivo a terra (e annesse adiacenze magari popolate di sangue innocente).
Tensione altissima, con l'occhio - dello spettatore - incollato allo schermo dalla primissima all'ultima inquadratura: rigorosa e inesorabile la progressione degli eventi, intensa e stratificata la proposizione delle tematiche e la loro lettura. Che è felicemente scevra da posizioni pregiudizevoli, da idee e ideologie precostituite, da sche(r)mi protettivi e facili ricatti.
Soprattutto, da soluzioni spicce di chi ha la verità in mano (dal divano di casa) e da (auto)assoluzioni che lavano la coscienza del mondo cosiddetto civile.


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