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L'A.S.S.O. nella manica

Regia di Ari Sandel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'A.S.S.O. nella manica

di scandoniano
6 stelle

Da una commedia per teenager che ha una trama del tipo “Cessamica sfigata sottrae il capitano della squadra di football alla reginetta del ballo di fine anno” ci si attenderebbe una flebile trama scontata e stantia, ma il merito degli autori è di considerare la vecchia storia di Biancaneve in chiave ottimistica ed alternativa.

Bianca, una nerd studiosa e quasi asociale, si accorge di essere un’ASSO, ossia un’Amica Sfigata Strategicamente Oscena. Rompe perciò con le sue due uniche amiche, ree, secondo il suo punto di vista, di accompagnarsi a lei solo per essere considerate più belle. Comincia così un idillio con l’amico d’infanzia Wesley: se quest’ultimo le insegnerà come uscire dalla sua condizione di ASSO, lei lo aiuterà a migliorare le sue carenti prestazioni al liceo. Ma le invidie per il rapporto tra Bianca e Wesley sono tali da mettere a dura prova l’autostima della ragazza e il suo rapporto col vecchio amico.

 

 

locandina

L'A.S.S.O. nella manica (2015): locandina

Anche se non passerà alla storia come baluardo della commedia moderna, questo “L’A.S.S.O. nella manica”  ha una sua originalità. Un modo non convenzionale di affrontare un argomento inflazionato come “l’amore ai tempi del Liceo nell’era dei rapporti 2.0”. Anche se i commenti, i post, i retweet, la viralità sono la parte apparentemente preponderante del film, a destare le maggiori emozioni in fondo rimangono i rapporti umani, le invidie, la profonda riflessione sul concetto di autostima. Tanto è vero che emoziona di più la protagonista che rivela il suo “posto speciale” a Wesley, aprendo il suo cuore e mostrando il fianco ad un suo simile (all’interno di una società basata su rapporti di plastica e silicio), rispetto alle tante situazioni da feuiletton post-moderno adeguato al villaggio globale.

Il merito è di una sceneggiatura non convenzionale che non cade in facili tentazioni sensazionalistiche (di bruttine che diventano strafiche passando per boutique, parrucchieri e visagisti il cinema di genere è pieno). Qui l’’ambientazione rivela un mondo mostruoso e cinico, ma gli autori non cavalcano i cliché del genere, ma li destrutturano dall’interno, tanto è vero che alla fine del film (fermo restando l’immancabile happy end) non cambia nulla nei protagonisti: Wesley è un ragazzo apposto fin dall’inizio (non diventa d’improvviso un'altra persona), Bianca rimane se stessa, la stronzetta della scuola resta fedele al suo credo. Semplicemente gli equilibri cambiano, la coscienza ha il sopravvento, il messaggio ottimistico del fuoco vivo del buonsenso che riemerge dalla cenere dell’apparenza effimera è ben evidente.

Per essere chiari, il film rimane un cineprodotto esile esile (che nell’italianizzazione dell’acronimo “Duff” in “Asso” acquisisce un ulteriore motivo di critica, dettata dall’insensato titolo a cui tale traduzione dà origine). Ma è anche un prodotto che ha il pregio di provare a parlare ai giovani attraverso il loro linguaggio (si veda la fantasiosa regia di Ari Sandel) e con la complicata pretesa di provare a far breccia nello stesso target a cui si rivolge. Tra questo film e le insensate teen-comedy alla “American Pie”, in pratica, c’è la stessa differenza che passa tra un film con Checco Zalone ed uno dei fratelli Vanzina. Per qualcuno una differenza inesistente, ma per chi sa guardare tra le righe un’alternativa sostanziale (e forse anche più nobile) di concepire il genere commedia.

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