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Marguerite

Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film

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La recensione su Marguerite

di Spaggy
8 stelle

Vissi d'arte, vissi d'amore,
non feci mai male ad anima viva!
Con man furtiva
quante miserie conobbi, aiutai.

 

Diretto da Xavier Giannoli, Marguerite si ispira alla vera storia di Florence Jenkins per mettere in scena un’opera lirica composta da cinque atti sul potere consolatorio della musica e sulla riscoperta dell’amore in extremis. La protagonista è Marguerite Dumont, una baronessa che ha acquisito il titolo nobiliare dal marito (che a sua volta ci ha guadagnato in ricchezza). Caratterizzata da una bontà d’animo fuori dal comune, Marguerite è nota per le sue ingenti donazioni, per le opere di beneficienza e per la sua passione per il ben canto e la lirica. A ogni raccolta di beneficienza che organizza nella sua magione, delizia i partecipanti esibendosi come soprano, ignorando in realtà di non essere particolarmente dotata. Eccentrica ma sensibile, Marguerite riceve applausi dalla ipocrita cerchia di amici che la circondano ma non dal marito, che fa di tutto per ritardare il suo arrivo a ogni evento. Nessuno è in grado di rivelarle la verità o di confessarle quanto la musica non faccia per lei: la sincerità lascia infatti il posto alla finta ammirazione, a questioni di convenienza. 

Catherine Frot

Marguerite (2015): Catherine Frot

La placida seppur movimentata vita di Marguerite cambia il giorno in cui a un suo evento si presentano un giovane giornalista aspirante scrittore e un altrettanto squattrinato artista (poeta e pittore), che vedo nel suo canto sgraziato qualcosa di anarchico e al tempo stesso commovente: guarda la solitudine nei suoi occhi, suggerisce uno dei due all’altro. Sì, perché nel canto Marguerite ha trovato rifugio e conforto per l’assenza del marito, fin troppo impegnato nei suoi affari finanziari ed extraconiugali. A sostenerla, con vero affetto, è solo il maggiordomo nero, disposto a tutto (in maniera inquietante) per non vederla soffrire e di assicurarsi che lei completi la creazione artistica a cui è così dedita.

Grazie ai due giovani, Marguerite si esibisce per la prima volta davanti a un pubblico diverso da quello del solito e ciò fa maturare in lei il desiderio di organizzare uno spettacolo composto da ben 18 arie in un vero teatro. Assunto un maestro di canto, la sua preparazione procederà senza particolari inconvenienti, aprendo la pista a un ultimo atto in cui ogni verità, con annesso sacrificio dell’eroina, verrà a galla.

I cinque atti di cui si compone Marguerite non lasciano presagire nulla del destino a cui l’eroina, ora buffa Carmen ora stralunata Salomé, andrà incontro sulle note di Casta diva. Coadiuvata dai suoi baggiani costumi di scena, Marguerite crede nella sua forza e nelle sue capacità, non intuendo mai prima del culmine della tragedia la verità sulle sue doti. L’amore del marito che le è sempre mancato ha trovato nella musica il giusto surrogato: ogni sacrificio per ogni nota alta da raggiungere equivale a una pena d’amore superata, ogni esibizione portata a termine a una notte d’amore, ogni applauso a una carezza che mai le arriverà, se non fuori tempo massimo.

Genuina come solo i bambini potrebbero essere, Marguerite si fida di chi la circonda e alimenta il suo divismo. Trova appiglio e sostegno nei costumi, nelle scenografie, nelle partiture originali che acquista e nei suoi nuovi amici sui generis, senza mai sospettare come ad esempio a muovere il suo nuovo maestro sia in realtà più un interesse economico che uno artistico. Catherine Frot, chiamata a interpretare il personaggio, non si risparmia donando tutta se stessa in esibizioni canore che dalla fragorosa risata iniziale cedono il passo al sorriso amaro, a una lenta discesa nel tragico melodramma. L’atto finale, inoltre, pone l’attrice nella condizione di cambiare repentinamente registro recitativo, permettendole con la sola mimica facciale di esprimere un prisma di emozioni che parte dalla (folle) gioia e termina nella cupa disperazione che spezza il cuore. 

Nonostante sia un film imperfetto, Marguerite con la sua protagonista riesce a toccare vette elevate di liricità inaspettata. Dimenticandosi di essere al cinema, lo spettatore si ritrova a teatro, osserva la Casta Diva e il suo calvario, tira fuori il lindo fazzoletto bianco per asciugare le lacrime e vorrebbe afferrarle la gelida manina per riscaldarla dal freddo glaciale che l’ha sempre circondata. Accompagnato da un’ottima ricostruzione storica dei folli anni Venti francesi, riportati in vita dalle scenografie di Martin Kurel e dai costumi di Pierre-Jean Larroque, Marguerite spaccherà il pubblico in due: sarà disprezzato da chi non crede nel potere trasfigurativo dell’arte e amato da chi alla realtà preferisce un’esistenza cullata dal sogno.

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