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Chinmoku

Regia di Masahiro Shinoda vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Chinmoku

di yume
9 stelle

Uno dei capolavori di Shinoda Masahiro questo film del 1971, portato a Cannes nel 1972, tratto da una novella di Shusaku Endo, scrittore giapponese di religione cristiana.

En attendant Scorsese

 

Chinmoku (Silence) è una meditazione sulla fede, sulle sue contraddizioni, sulla violenza che può scatenare. Il film è potente e profondo ma arduo, complesso, poco più di due ore che richiedono attenzione costante al dialogo, al senso dei silenzi, alle tematiche filosofiche e teologiche che apre sul conflitto fra natura umana e divinità, sul tema della sofferenza e del sacrificio, sui reali bisogni dell’uomo, sul potere che opprime i deboli e l’ingiustizia che domina nell’Universo.

Il remake di uscita imminente di Martin Scorsese, da trent’anni in attesa di girarlo, durerà tre ore e quindici minuti, una  dilatazione speriamo non eccessiva dell’originale, che già avrebbe tratto vantaggio da una stringatezza maggiore.

Ma giudicheremo a visione avvenuta.

 

Partendo dal titolo, sarà utile soffermarsi sul concetto di silenzio, chinmoku, il tratto più distintivo dello spirito sociale giapponese, uno dei suoi valori fondanti.

Un conoscitore, anche non particolarmente approfondito, della cultura giapponese, sa bene quanto fra gli individui di quella comunità prevalga, nelle relazioni interpersonali, un’attitudine al silenzio, alla reticenza, piuttosto che alla parola.

Le ragioni di tale carattere sono di portata storica, investono il campo delle scienze sociali e hanno un preciso profilo antropologico. Ma senza andare troppo oltre, possiamo dire che in Giappone quello che è più importante nella comunicazione risiede nel silenzio, virtù intesa con gli stessi caratteri che in Occidente attribuiamo alla sincerità.

A ciò si aggiunga l’affidamento che quel popolo fa nell’ ishin denshin, una sorta di comunicazione telepatica che, sola, permette di attingere alle radici più profonde dell’uomo, lì dove risiede il “vero” dell’individuo, cioè nella sua interiorità.

E’ nel nostro io più intimo che, secondo il pensiero giapponese, conserviamo la verità cognitiva e morale. Ciò che appare, la nostra forma corporea, è invece facile veicolo di falsità e inganno.

La verità può esistere solo nel silenzio” è la massima centrale dello zen, e solo la pratica della meditazione permette di arrivare a quello svuotamento della mente che è condizione essenziale della quiete.

Nel teatro, NO e kabuki, come nella musica, è nella pausa, quindi nel silenzio fra le battute, l’akmè della tensione drammatica, ed in questo riconosciamo i tratti di quel sincretismo culturale che, avvicinando emisferi e latitudini, ci ricorda quanto il silenzio operi anche nella tragedia greca, essenziale e scarna nella scrittura, ma estremamente dilatata nei rimandi concettuali.

 

Chinmoku è il titolo che il grande maestro del cinema giapponese, Shinoda Masahiro, dà a questo film del 1971, portato a Cannes nel 1972, tratto da una novella considerata il capolavoro di Shusaku Endo, scrittore giapponese di religione cristiana.

Incursione in un passato molto poco noto della storia giapponese, Chinmoku racconta di due missionari portoghesi giunti in Giappone dopo l'editto del 1614 dello Shogun che vietava il Cristianesimo nel territorio.

L’arrivo di missionari spagnoli e portoghesi (soprattutto gesuiti) in estremo oriente per fare proselitismo era iniziato già da mezzo secolo ed aveva incontrato iniziali ostilità. La religione aveva poi fatto presa su una piccola comunità nella zona meridionale del Paese fino al momento della violenta persecuzione scatenata dal potere centrale. I due giovani gesuiti, Padre Rodrigues e Padre Garupe, sono soprattutto alla ricerca del loro padre spirituale, Christovao Ferreira, con il quale hanno perso i contatti da cinque anni. Non possono credere alla notizia che si è diffusa circa la sua apostasia e sono decisi ad affrontare una traversata del territorio irta di pericoli.

Guidati da Kichijiro, un ubriacone inaffidabile che li ha portati fin lì dalla Cina e che non esita a tradirli per denaro, entrano nel mirino di funzionari con l’incarico di arrestarli.

Ben presto saranno separati e Rodrigo verrà imprigionato.

Inizia la parte più intensa del film, con un brusco rallentamento del ritmo, fin qui mobile, concitato, una corsa degli uomini immersi nel vento, nella pioggia e nella luce del paesaggio sub-tropicale, ora chiusi nello spazio raccolto, claustrofobico, scuro, di celle dove si consumano torture, si macera il paradosso interiore fra innocenza della fede e colpevolezza del dubbio, si costringe con la forza al silenzio quello che la voce dei missionari proclamava essere un dono di Dio agli uomini.

Ma "Questo dono non è il benvenuto", sono le parole del persecutore/inquisitore Inoue Masashige a Rodrigo.

Il conflitto ora è fra i due e proseguirà quando entrerà in scena padre Ferreira, l’apostata.

A quel punto sarà il silenzio a dominare la scena.

Ricorda il colonnello Kurtz in Cuore di tenebra questo misterioso personaggio avvolto di ombre intorno al quale si è sviluppata l’epopea di ricerca dei due uomini, immersi nel fango e nella violenza delle decimazioni di massa a cui hanno dovuto assistere.

Ferreira è diventato Chuan Sawano e lavora per Inoue come studioso di astronomia, ma non solo. Il suo impegno è anche rivolto alla Bibbia che sta sottoponendo a spietata revisione critica, mettendone in evidenza errori e falsità.

Il contrasto fra i due è tragico, si confrontano due ferree visioni del mondo, l’una, quella di Rodrigo, cementata da una fede che non conosce incrinature, l’altra, quella di Chuan Sawano, che ha conosciuto il Giappone ed ha capito molto bene come il Cristianesimo non possa in alcun modo radicarsi in quel terreno.

Nel carcere in cui Rodrigo viene torturato anche lui ha conosciuto la tortura, ma il suo abbandono di Dio non è stato causato dal dolore. E’ stata l’assenza di Dio davanti al dolore degli uomini a determinare la sua scelta,

Resta così aperta la millenaria e forse insolubile dicotomia tra la fede che salva e la fede che uccide.

Sacrificare ad un Dio la tranquillità di contadini analfabeti che in nome di quel Dio saranno orribilmente trucidati può essere dettato da un atto di arroganza, quella di missionari convinti detentori della verità, ma promettere la salvezza eterna ad un popolo oppresso in questa vita da un regime spietato può essere nello stesso tempo un atto di grande pietà.

Il punteggio musicale dello straordinario Toru Takemitsu e la fotografia di un maestro di tanti capolavori Kazuo Miyagawa (Rashomon, Yojimbo, Ugetsu monogatari) collaborano a dare a Chinmoku di Shinoda Masahiro l’indiscutibile impronta del capolavoro.

En attendant Scorsese

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