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Il caso Spotlight

Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film

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La recensione su Il caso Spotlight

di michemar
8 stelle

Il caso Spotlight è un film altamente avvincente che crescendo nella narrazione colpisce lo spettatore come un potente thriller il cui finale sembra non arrivare mai, tanto cresce a dismisura la vastità dello scandalo su cui indaga il team dei giornalisti del The Boston Globe, il team appunto chiamato nell’ambiente Spotlight.

Non c’è Paese al mondo che possa vantare una maggiore libertà di parola, di pensiero e quindi – massima espressione – di stampa come gli Stati Uniti e questa libertà a volte è stata traslata pari pari nell’arte del Cinema, proprio nel Cinema con la maiuscola. In realtà questa trasformazione dalla parola orale e scritta a quella recitata non è che sia avvenuta molto spesso, dato anche il notevole volume di film prodotti negli USA, ma quando questo è avvenuto è stato un clamore rumoroso, un exploit che non ha lasciato indifferenti. Nessuno. Mica per nulla, una delle frasi più abusate ed efficaci, usata per sintetizzare una esclamazione di chiusura di una discussione è la celeberrima citazione de L’ultima minaccia di Richard Brooks: ‘È la stampa, bellezza!’ ma nessuno di noi può fare a meno di pensare e ripensare a quello che fino ad oggi riteniamo il film più famoso in argomento, Tutti gli uomini del presidente, un film che racconta con dovizia di particolari e precisione l’inchiesta del Washington Post (un giornale influente e molto letto, quindi) sul caso Watergate, una inchiesta che fu capace, tramite un paio di giornalisti all’altezza della situazione, di far traballare e saltare la poltrona della carica più potente del mondo, quella del presidente degli Stati Uniti, quella dell’ineffabile Nixon. Dello stesso periodo ricordiamo con piacere l’avvincente I tre giorni del Condor di Sydney Pollack il cui finale però avvolge di nubi scure l’evidente impotenza di un insignificante collaboratore della CIA che vede sì entrare rotoli giganteschi di carta nella tipografia di un giornale, che difficilmente uscirà però stampata con le notizie eclatanti che lui si aspetta vengano pubblicate. Troppo potente in questo caso l’Agenzia!

 

Nello stesso solco del film di Alan J. Pakula, questo si incanala con modalità diverse e con difficoltà differenti nella stessa direzione ma con evidenti minori conseguenze per la politica mondiale. Difficile paragonare tra i due casi le motivazioni di spinta iniziale e l’ambiente dove si svolgono e narrati i fatti. Entrambi però hanno in comune la pesante gravità degli avvenimenti. Per fortuna ciò che ha in un certo qual modo potuto non ostacolare eccessivamente l’indagine condotta dai giornalisti protagonisti di questo film è che lo scandalo è stato scoperto in una nazione dove il senso di laicità è radicato e che la Santa Chiesa Cattolica Romana non ha quel potere sulla politica, sui media e sui cittadini che avrebbe potuto bloccare tutto, come può succedere e succede in altri Paesi ad iniziare dall’Italia.

 

Michael Keaton, Rachel McAdams, Mark Ruffalo, Brian d'Arcy James

Il caso Spotlight (2015): Michael Keaton, Rachel McAdams, Mark Ruffalo, Brian d'Arcy James

 

Centrando l’attenzione sull’aspetto artistico, Il caso Spotlight è un film altamente avvincente che crescendo nella narrazione colpisce lo spettatore come un potente thriller il cui finale sembra non arrivare mai, tanto cresce a dismisura la vastità dello scandalo su cui indaga il team dei giornalisti del The Boston Globe, il team appunto chiamato nell’ambiente Spotlight. Uno sparuto gruppo di giornalisti che combattivi lo erano di già ma diventano d’assalto alla lettera quando si rendono conto che ciò che stanno scoprendo e di cui si accingono a scrivere è veramente scottante, un argomento così scandaloso da sembrare inverosimile. Il misurato come non mai Liev Schreiber è Marty Baron, il nuovo direttore del giornale che deve però frenare l’impeto con cui si buttano i suoi collaboratori, perché la materia è incandescente e perché giustamente fa presente che se non si hanno conferme di quello che sta saltando fuori, dalle prime denunce degli ex bambini offesi dal comportamento e dalle attenzioni di alcuni preti delle parrocchie cattoliche della città, si rischia soltanto di finire condannati per calunnia da qualsiasi tribunale. Il film riesce a coinvolgere piano piano ma in maniera crescente ed inevitabile come fosse un film d’azione, pur essendo una storia di inchiesta giornalistica, quindi tanto recitato e zeppo di dialoghi frenetici e complicati, tanto da diventare impegnativo per lo spettatore, che deve essere attento agli sconcertanti sviluppi delle progressive scoperte del team giornalistico e dal numero crescente degli abusati che si decidono, dopo molti tentennamenti, a parlare e rinvangare ricordi che non hanno più voglia di ricordare. La bravura dei tre giornalisti e del loro capo viene premiata, dato che non mollano la presa su ciò che hanno scoperto nonostante le difficoltà politiche e quelle dovute alle relazioni sociali tra le autorità della città e le autorità ecclesiastiche: riescono a convincere sia i loro superiori a non abbandonare le piste sia le persone abusate a parlare e a denunciare i fatti, anche se questi ultimi cercavano di dimenticare il brutto passato. L’opera del bravo regista e sceneggiatore Tom McCarthy è avvincente sempre più fino alla fine, non facendo mai calare la tensione crescente e rendendo il film appassionante come raramente accade, fino ad arrivare alle rivelazioni impensabili finali a proposito della vastità delle dimensioni dello scandalo, fino ad arrivare a numeri mai immaginabili. Proprio come la sorpresa finale di un vero thriller.

Mark Ruffalo

Il caso Spotlight (2015): Mark Ruffalo

 

Liev Schreiber

Il caso Spotlight (2015): Liev Schreiber

 

Oltre alla piena riuscita della pellicola, ammirevole è il lavoro del bravo Tom McCarthy, ma da apprezzare è il notevole lavoro di squadra sia nella trama che nella recitazione degli attori, tutti protagonisti e comprimari sullo stesso livello, come un gran coro, ma su tutti si ergono come migliori il sempre efficace Mark Ruffalo (soprattutto nella scena madre in cui il suo Mike Rezendes invita gli altri nonostante le difficoltà obiettive a non mollare) e la pacata recitazione di un Liev Schreiber in piena forma. Ma è tutto il film che dà l’idea di un cinema classico ed epico, di un cinema inevitabile e di cui non si può fare a meno. Di un cinema che si deve vedere.

 

Il premio Oscar come miglior film dell’anno? Meritatissimo!

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