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Il labirinto del silenzio

Regia di Giulio Ricciarelli vedi scheda film

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La recensione su Il labirinto del silenzio

di OGM
8 stelle

Davide contro Golia: la storia è nota, come lo è il suo finale. Ma la morale, per una volta, può essere un'altra.

Johann Radmann. Joseph Mengele. Entrambi invisibili. Il primo non è mai esistito. Il secondo è scomparso per sempre. Due diverse incarnazioni di una verità che vuole restare nell’ombra. Gli aspetti antitetici di una cecità selettiva, che si concentra su un solo obiettivo, una sola ossessione, per dimenticare tutto il resto. L’ambizione e la coscienza che si escludono a vicenda. O che convivono, per un po’, solo per poi esplodere insieme, lasciando che la storia vinca, con i suoi paradossi, che si sommano, uccidendo l’anima del singolo, e sintetizzandosi, per gli altri, nell’indifferente superficie della normalità. Nel 1958, un giovane magistrato tedesco viene a sapere, per  puro caso, che un ex ufficiale delle SS, responsabile di atti efferati, lavora come docente in un ginnasio della sua città. È l’inizio di un’indagine travagliata e difficile, che sfocerà, cinque anni dopo, nel processo di Francoforte contro i criminali di Auschwitz.  Prima di allora Johann Radmann – personaggio dal nome inventato – dovrà combattere duramente contro la generale ignoranza dei fatti, e la resistenza delle autorità a collaborare su una faccenda tanto delicata e dolorosa, oltre che politicamente imbarazzante. C’è chi non sa, e chi fa di tutto per coprire. Intanto, dall’altra parte, dentro al piccolo universo morale di Radmann, cova l’ingenua visione di un categorico dovere di punire i cattivi per dare giustizia alle vittime e onorare i buoni. Scavare negli archivi del Terzo Reich significa, però, andare a toccare con mano la colossale e sfuggente estensione di un fenomeno – l’adesione al nazismo – in cui non è sempre facile tracciare un confine tra il conformismo di facciata dei tanti, semplici iscritti al partito e la partecipazione attiva e convinta al suo sistema ideologico. La questione morale finirà per dover cedere il passo alla mera necessità giuridica di condannare gli assassini: un sigillo posto su un passato da superare, ed una consacrazione del nuovo corso, di uno stato di diritto che agisce secondo le regole fissate nella costituzione. L’uomo abbandona la sua personale concezione di ciò che è giusto ed importante, accantona il sogno legato ad una immaginaria missione, per sottomettersi alla legge: un obbligo che vale per tutti, non solo per chi, inseguendo le proprie utopie, si è macchiato di tremendi delitti. Un principio a cui sono soggetti sia Johann Radmann sia Joseph Mengele, gli estremi opposti del peccato di superbia, le due facce del medesimo tipo di errore. Il mito di catturare il pesce grosso, per fare colpo. La follia di usare i propri simili come cavie, per diventare grandi scienziati. L’egocentrismo è il male che mina le fondamenta della libertà e dell’uguaglianza. È l’inizio della fine del sentimento di umanità, il quale esiste solo fintanto che sopravvive, nel cuore, la capacità di immedesimarsi  nel prossimo, di comprenderne le ragioni e le sofferenze, mettendo in secondo piano le proprie esigenze e certezze. Il film di Giulio Ricciarelli prende le mosse dall’elaborazione storica dell’Olocausto - un argomento già molto sfruttato, anche in ambito cinematografico - per indirizzare il nostro pensiero verso un concetto molto più generale del solito dilemma tra coraggio e omertà, tra rigore e opportunismo. Al centro del racconto si colloca l’idea che uno sguardo universale sia l’unico vero presupposto di una società civile, in cui nessun individuo e nessun traguardo si  ponga al di sopra del bene comune. Una conclusione a cui si può arrivare in tanti modi. Ma che forse conosce, come via privilegiata, quella che impone la modestia per causa di forza maggiore: una strada che parte dal basso, dalla velleitaria solitudine di un piccolo eroe, costretto ad affrontare un nemico gigantesco, tanto più grande e potente di lui.    

 

Questo film rappresenterà la Germania agli Academy Awards 2016.

 

Alexander Fehling

Il labirinto del silenzio (2014): Alexander Fehling

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