Espandi menu
cerca
Letters to Father Jacob

Regia di Klaus Härö vedi scheda film

Recensioni

L'autore

leporello

leporello

Iscritto dal 18 dicembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 43
  • Post 5
  • Recensioni 665
  • Playlist 9
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Letters to Father Jacob

di leporello
8 stelle

In uno spoglio ambiente carcerario, appena rischiarati da una luce tagliata proveniente dalla piccola inferriata posta in alto alle spalle di lei, Leila e il direttore della prigione in cui è detenuta sono a colloquio. Con poche, stringate frasi sintetiche, il direttore chiede alla scostante e imbronciata ergastolana cui appena è stata concessa la grazia (richiesta da non si sa chi – “Non da me sicuramente” asserisce categorica Leila) quali siano le sue intenzioni per il nuovo futuro da persona libera che le si prospetta. L’accenno alla possibilità di andare a stare con la sorella non trova risposta se non nella freddezza dello sguardo della donna, ed ecco che allora il direttore le propone un lavoro facile, tranquillo, forse noioso ma sicuro, che Leila, date le sue condizioni, non potrà rifiutare:  assistere un anziano parroco cieco che vive in completa solitudine in qualche remota regione di campagna nella fredda Finlandia.
E’ questo l’incipit che, prima che una malinconica sonata di piano in tonalità minore sui titoli di testa accompagni la ruvida Leila verso la casa parrocchiale di Padre Jaakob, introduce a questa magnifica storia di due solitudini incomplete, fatta di sentimenti profondi, caratteri difficili, di aspirazioni sublimi  e di abissi dell’anima, di verità nascoste e pudori inconfessabili, di anelito alla pace a dispetto (e contro) tutte le infelicità che hanno potuto mettere radici nel corso del tempo.


Ma chi sono i due protagonisti?
Di Leila (Kaarina Hazard) il film ci dirà praticamente tutto, anche se solo nei tempi dovuti  e scelti alla perfezione dal regista Klaus Härö  (a partire dalla scelta di una durata perfettamente breve della pellicola): si partirà dal conoscerla ergastolana, sprezzante, dai modi antipatici, carica di una rabbia che non sa dove esplodere; si intuisce perfettamente la sua natura di persona buona, incattivita dalla sorte, ma di questo il film saprà parlarcene più tardi, dandoci un quadro del personaggio pressoché completo ed esaustivo.
Più enigmatico, invece, il personaggio maschile . Chi è davvero Pappi Jaakob (Heikki Nousiainen)? Ci viene presentato come un padre anziano che vive isolato dal mondo, con un carattere semplice e uno stile di vita prossimo all’ascetismo, gentile e paziente con Leila anche oltre ogni ragionevolezza, ma nessuno ci spiega perché quest’uomo riceva così tante lettere da così tanta gente. Non si sa, e non si saprà mai anche dopo l’epilogo, cosa sia stato Padre Jaakob prima che lo conoscessimo: forse un profeta, un predicatore, chissà forse un taumaturgo; oppure un semplice sacerdote molto buono e col dono di saper entrare in empatia con le persone molto facilmente. Di sicuro non un santo o un illuminato: non solo la sua cecità, ma la debolezza, umanissima, che dimostrerà di avere nel critico momento in cui gli parrà che il mondo lo abbia abbandonato e che Dio non abbia più bisogno di lui, lo negano decisamente, e ne fanno una figura niente affatto santificata, ma al contrario solidamente partecipe ed unito a quel mondo terreno e terrestre che tanto ama, fino a percorrerlo a piedi nudi nel fango senza nessuna esitazione.


Lo svilupparsi del rapporto tra i due è reso dalla costruzione in maniera impeccabile. Dal “Benvenuta” che Padre Jaakob esclama trepidante, scattando in piedi e porgendo la mano (non ricambiato, e nella direzione sbagliata...) verso i rumori prodotti dalla silenziosa Leila appena giunta, attraverso tutte le lettere (tranne quelle che ritiene essere arrivate in numero eccessivo, e che non esita a gettare nel pozzo) che Leila legge per lui insofferente e nascostamente sarcastica, le quali sono ognuna, per il mansueto parroco, un’occasione unica ed irripetibile per fare del bene ed elargire amore e coraggio al prossimo, oltre che ragione di vita, inteso anche come semplice, propria sopravvivenza biologica; il timido e fallimentare tentativo di coinvolgere Leila in quest’opera quando,  dettandole una risposta, propone di firmarla “Jaakob e Leila” suscitando inevitabilmente  una reazione così infastidita di lei che è facilmente visibile pure per un cieco,  passando poi per la crisi di Padre Jaakob nel momento in cui le lettere cessano di arrivare, e un doloroso delirio lo spinge ad inventarsi matrimoni e battesimi che non esistono, indispettendo ancora di più Leila che non è ancora riuscita ad  “entrare in contatto” con lui (il “NO!”, terribile, che Leila gli oppone quando Jaakob la prega di riaccompagnarlo a casa...).
E sarà solo quando le lettere si faranno finalmente carne, quando la dolente resa di Leila alla verità delle cose diventerà l’ultima, fatale sponda a disposizione di Padre Jaakob per salvarsi, solo quando sia le disperate autodifese, sia le inutili sovrastrutture fittizie finiranno per cadere insieme, nella scena madre del prefinale poco prima che i due siano chiamati ognuno ad andare incontro al proprio destino, Leila e Jaakob, finalmente e per la prima e unica volta del film, si toccheranno, afferrandosi la mano, nell’atto di un reciproco, necessariamente vitale sostegno.


Tratto da un racconto letterario, questo “Postia Pappi Jaakobille” è un film delizioso, di poche parole che dicono tanto (ancor più  se guardato in quel delizioso idioma finlandese dove ogni consonante doppia, per essere pronunciata a dovere, va pronunciata almeno tripla...), con due attori semplicemente favolosi (valga per entrambi soffermarsi sull’espressione del viso di Leila in quei venti secondi in cui siede sul taxi senza destinazione), in cui l’abbondante uso del grandangolo riesce paradossalmente a rendere piccole ed intimamente vissute tutte le cose, ricchissimo di riconoscimenti e premi festivalieri internazionali di provenienza non solo nord europea (dalle Alpi – naturalmente francesi – alle piramidi, dal Manzanarre al Reno), che ci lascia col consueto desolante convincimento e rammarico di essere (noi italiani) una periferia cinematografica onanista, infelice e cieca, una buona occasione di conoscere un regista molto noto in Finlandia (e non solo) e che non sia sempre e solo il solito (pur adorabile) Aki Kaurismäki.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati