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La piramide

Regia di Grégory Levasseur vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La piramide

di amandagriss
5 stelle

 

Piramide di paura,

o La maledizione del faraone,

o Creatura degli abissi o L’antro della belva,

insomma... Non aprite quella porta.

 

 

Sulla falsa riga di Necropolis, con Rovine che riecheggia nella testa, ecco sfornato il nuovo lavoro alimentare prodotto da Alexandre Aja, l’(ex)enfant prodige del new horror d’oltralpe.

Seguendo la scia del momento, anche Aja batte il terreno del mockumentary horror, speziando il suo film di verità storiche e operato archeologico avanguardistico piuttosto che infarcirlo della prezzemolina possessione demoniaca, ancora a tener inesorabilmente banco nonostante gli alti e bassi in termini di qualità e di incassi al botteghino.

L’ambientazione esotica degli inizi, le premesse scientifiche che paiono promettere scenari alternativi e con essi intrecci e sviluppi di trama inconsueti tradiscono miseramente le aspettative del fruitore incallito di storie di/da paura, il quale si ritrova ben presto catapultato (ancora) sui sicuri e fin troppo collaudati binari dell’arcinoto copione slasher e suoi stilemi, a fronteggiare un altro lungometraggio sviscerato sotto terra -qui sotto la sabbia- tra angusti corridoi tutti uguali, cunicoli quasi impraticabili, vicoli ciechi costruiti all’uopo e camere-trappola per topi.

Ambienti poco raccomandabili ad illustrare il classico luogo maledetto volutamente disperso e dimenticato dagli uomini, che ritorna -come l’erba cattiva- alla luce, assetato di sangue a mietere vittime.

Ed ecco entrare in scena, il senso di asfissìa, l’oscurità perenne (oramai familiare) combattuta a colpi di torce, camere a infrarossi e razzi segnalatori, insieme al palpabile terrore e alla quasi totale certezza di lasciarci la pelle in questo che altro non è che una tomba labirinto-zona di passaggio obbligato tra la vita terrena e gli inferi, un tesoro nascosto, terribile e magnifico al contempo, di cui è meglio non saper nulla visto che nessuno è più tornato indietro per raccontarlo.

La narrazione procede rimpinzata di tutti gli ingredienti del caso e si srotola rapidamente, stuzzicando e ingolosendo lo spettatore nel lanciare qua e là qualche gustosa chicca di un atroce, prolungato splat-pack che pare imprimersi indelebile sulla retina.

A testimonianza della predilezione da parte del regista/produttore per il martirio della carne, per la sofferenza ineludibile che accompagna alla morte senza appello chi resta vittima, suo malgrado, di nefaste quanto assurde circostanze.

Il buon girato, all’altezza della situazione (anche se in un paio di momenti il montaggio 'affrettato' spezza inappropriatamente la fluidità dell'azione -concitata-), l’atmosfera così pesante da poterla tagliare con l’accetta e un’insieme di trovate che non possono non ricordare (pure stavolta) le avventure scapicollate di Indiana Jones ma senza la sua ironia -tant’è che una frase pronunciata al momento della scoperta di un passaggio segreto lo cita velatamente- contribuiscono a tenere alta l’attenzione; tuttavia, se il film dapprima punta sulla (saggia) scelta del non visto, tenendo fuori quadro l’orrore per stimolare l’immaginazione, scuotere le ataviche paure e, soprattutto, far fluttuare chi è intento a guardare (e sì, a torcersi sulla poltrona) in un’impalpabile quasi astratta nerissima dimensione altra, successivamente vira per il fin troppo visto, gettando così alle ortiche il dignitoso lavoro di atmosfere ambigue e sinistramente perturbanti imbastito in precedenza.

E a poco serve un robusto sonoro ad amplificare i grugniti di quella che, oramai illuminata a giorno, è una vera e propria bestia in carne ed ossa (digitali) in cui riconosciamo -delusi- l’artefice del male sotterraneo.

Ancora di meno un brutto finale (tronco come nella tradizione del mockumentary horror) che avrebbe dovuto osare di più e farsi crudele e amaro quanto efficace colpo di coda.

E che dire, poi, dell’infezione purulenta, trattata alla stregua di un lieve effetto collaterale, buona idea scriteriatamente abbandonata lì quando avrebbe potuto regalare molti più brividi e un terrore sottopelle da lasciare il segno.

E, invece, questo La piramide non lascia vere tracce, come pioggia sulla neve, come sabbia sulla sabbia.

 

 

 

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