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H.

Regia di Rania Attieh, Daniel Garcia vedi scheda film

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La recensione su H.

di OGM
7 stelle

La solitudine può diventare una condizione cosmica. Può essere l’effetto globale di  un cataclisma astronomico, che si abbatte sulla Terra come un meteorite. Le donne, come altrettante Elena di Troia, possono, a causa di un amore forzato, lasciarsi rapire in un mondo alieno. Il pianeta delle due Helen di questa storia è la procreazione vissuta come illusione, come rimedio immaginario ad una indefinita infelicità del cuore. La prima Helen, ormai avanti con gli anni, si affida ad una reborn doll, un neonato finto, che abbraccia, nutre e cura come se fosse un bimbo in carne e ossa. La seconda Helen, più giovane, sviluppa una gravidanza isterica. Intanto avvengono strani fenomeni, molte persone scompaiono, si perdono, mentre a tratti la forza di gravità si inverte, si odono rumori assordanti, si diffondono vibrazioni che spaccano i vetri. Quella in atto è una guerra contro la finzione con cui qualcuno pretende di ovviare all’assenza di verità. Gli esseri umani devono avvertire, anche in senso fisico, l’eco del proprio vuoto interiore. Devono smettere di guardare lontano, nella direzione di orizzonti impossibili, per distrarsi dalle delusioni della realtà. Ciò è sbagliato anche quando avviene in maniera apparentemente innocente, e magari a fin di bene. Il cielo può trasformarsi allora nella fonte di una vendetta di proporzioni universali, da dove la morte, al malattia e l’isolamento giungono come castigo contro gli attaccamenti falsi, quelli che sottendono divisioni, rendendo finalmente concrete e visibili le distanze esistenti sul piano affettivo. C’è un’enorme testa che galleggia sul fiume, venuta chissà da dove; è successo veramente, nell’aprile 2013, lungo l’Hudson River, ma questa volta si tratta del pezzo di una statua femminile, scolpita nello stile dell’antica Grecia. Compaiono anche un cavallo nero ed un uomo dalle sembianze equine, a ricordarci dell’Iliade, dell’epica a sfondo mitologico che oggi può tornare, sotto forma di fantascienza, per trasmettere lo stesso messaggio morale, per indirizzarci lo stesso monito contro la pericolosità dei sentimenti vissuti come obiettivi, incentrati su desideri  di realizzazione personale. La voglia di maternità non è immune da questo genere di equivoco, che ha il potere di scatenare paradossi, eventi paranormali, sconvolgimenti planetari. Le forze della natura, come nei poemi omerici, si mescolano con elementi magici per manifestare le conseguenze dei disastri dell’anima, della violazione delle leggi umane, della mancata sottomissione al mistero dell’esistenza. L’incomprensibile si rivolta contro di noi: non c’è spiegazione per quello che succede, in questa storia, in cui il centro del discorso si sposta dall’individualità ad un non meglio precisato aldilà, ripristinando la presenza di quella dimensione trascendente che  la modernità ha voluto accantonare. H. è un tentativo, incantevolmente timido, di riportare alla luce la benefica paura del mondo che caratterizzava l’infanzia della nostra specie; è un dito puntato verso l’ignoto, verso un’oscurità  che, improvvisamente, inizia a brillare di inquietanti scintille. 

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