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Automata

Regia di Gabe Ibáñez vedi scheda film

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La recensione su Automata

di leporello
7 stelle

 

Si potrebbe dire: “Quando una scimmia con la pistola incontra una scimmia col fucile, la scimmia con la pistola è una scimmia morta.”
Specie se c’è di mezzo una tartaruga.
“Automata” azzarda, e lo fa col piglio giusto. I “Pilgrim 7000” nascono nella finzione scenica voluta dagli autori del film come robot creati dall’uomo per difendere gli stessi uomini dai pericoli provenienti dal Cielo, in base ai protocolli classici che già furono di Isaac Asimov. Si riveleranno invece come un’umanità parallela, e più forte, forse perché esentati dal condividere le sorti di coloro che “Sono Nati” (leggasi: “Nati dal Cielo”), forse perché avranno avuto l’umiltà e l’intelligenza (tutta virtuale) di riconoscere che ogni e qualunque umanità non può avere il dio che si crede, bensì solo quello che riesce (e con fatica e sacrificio) a costruirsi e a darsi, fosse anche solo in forma di abbozzo di tartaruga cibernetica (peraltro ispirata a quelle umane, quelle che si tuffano nell’oceano per scomparire per sempre alla vista di chi ha la pretesa di possederle).


Eva di se stessa,  Cleo (il Pigrim 7000 protagonista del film,  conformato in fattezze di prostituta), forte del suo “biokernel” conduce il (non) suo Adamo/Banderas verso l’ingresso di (non la cacciata da) un nuovo Eden ancora tutto da bonificare (lasciato all’immaginazione dello spettatore, trascorsi i titoli di coda...), attraverso i pericoli delle tentazioni di un’umanità ormai prostrata, boccheggiante, fallita, a tratti ancora nobile d’animo e di intenti (felicissimo e prezioso il cameo della sempre bellissima Melanie Griffith, madame Banderas, contro la quale strali ingenerosi,  grossolani e irripetibili vedo riversarsi da parte della critica, nella parte della dottoressa Duprè),  a tratti ancora fertile e generosa (la vicenda intima e familiare della paternità del protagonista), ma sostanzialmente desertificata e divenuta ormai definitivamente inabitabile.


“Automata” potrebbe essere considerato a buon diritto un’eccellente versione riveduta e corretta de “Il Pianeta delle Scimmie” di quasi quarant’anni or sono. Da non esperto (e non frequentatore) del genere, non so dire quanti  neo- “Pianeti delle Scimmie” siano stati proposti in questo abbondante lasso di tempo; ma di certo (escluse le virgole, tipo il Banderas che meglio di lui ce n’erano un centinaio, o le intermittenti, stonate pennellate melò che sembrano –ahimè- imprescindibili nella filmografia tarhgettizzata USA, anche se Made in Spain), quest’opera di Gabe Ibáñez è altamente coinvolgente, strutturato in due fasi principali (la prima thriller-cittadina, la seconda ambientata  in un affascinante deserto radioattivo ricco di suspense), accompagnato da musiche/sonorità ritmate altamente adrenaliniche (tolte quelle sdolcinatamente melò) e da una scenografia/effetti speciali volutamente (credo, volutamente, essendo il regista grande esperto di effetti speciali) tenuti su scala di grigio e a quota di volo medio bassa, per meglio rendere il concetto di un futuro regressivo  voluto dalle didascalie che ci introducono alla vicenda.


Un bel film.

 

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