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Automata

Regia di Gabe Ibáñez vedi scheda film

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La recensione su Automata

di sev7en
2 stelle

In un futuro apocalittico, in cui sono i robot a svolgere gran parte delle mansioni prima delegate all’uomo, l’agente assicurativo Jacq Vaucan si trova ad indagare su alcuni robot “difettosi” scoprendo che l’anomalia e’ ben piu’ di un bug di programmazione...

 

Ci sono nella storia del cinema film definiti “mostri sacri”, opere che nell’immaginifico colletivo rappresentano lo stato dell’arte, la filosofia, la summa di ogni singola componente caratterizzante un lungometraggio: musica, scenografia, copione, regia, attori… con il risultato di creare nello spettatore un rapporto che infrange lo schermo di proiezione e crea quell’empatia tipica di un’opera teatrale, una vera e propria esperienza.

Nell’Olimpo delle produzioni cinematografiche c’e’ indubbiamente Blade Runner, un titolo che solo ad evocarlo e’ in grado di scaldare anche le piu’ gelide delle critiche, un’opera a cui ha voluto ispirarsi il regista Gabe Ibáñez, come risposta del Vecchio Continente alle opere prime “made in USA”.
Ibáñez e’ difatti di origine spagnola ed il film e’ stato girato oltre l’Oceano di Scott benche’ il cast, variegato, attinga a piene mani dalle star hollywoodiane. Automata vuole raccontarci un futuro distopico nel quale le macchine potrebbero avere pari diritti degli essere esseri umani, perche’ se i robot sono “semplicemente delle macchine”, noi essere umani  saremmo, e siamo, “semplicemente delle scimmie” il che dovrebbe alimentare nello spettatore quei dubbi “esistenziali” sul perche’ delle cose, sull’origine del mondo, sulla figura dell’uomo stesso. Di per se’ la specie umana e’ deprecabile per le scelte che compie in quanto la grande bellezza del libero arbitrio concessaci, per vocazione o meno religiosa a seconda della professione di fede seguita, e’ proprio quella di farci seguire l’istito sovra ogni legge o superiore ragione… mentre nelle macchine quelle che sono le “leggi di Asic Asimov” rappresentano un limite invalicabile, delle tavole scritte nel loro DNA/microkernel, incancellabili e non, o almeno in teoria…, modificabili.

Volendo guardare altrove su questo aspetto ci sono molte analogia anche con il Robocop di Paul Verhoeven, ma cio’ che manca in Automata e’ proprio la profondita’ necessaria a porre in discussione tali argomentazioni perche’ la regia e probabilmente la sceneggiatura, temporeggiano troppo sui periodi morti, su quelle pause nelle quali il dubbio del tarlo dovrebbe insinuarsi, ma anche invece, lascio lo spettatore soffermarsi sulla fotografia e gli insulsi effetti speciali, davvero di qualita’ neanche minimamente paragabile alle altre produzioni moderne. Se prendessimo invece ad esempio Blade Runner a confronto, dove gli effetti speciali hanno ben 33 anni in meno…, il confronto tra digitale e reale e’ ancora piu’ impietoso, perche’ e’ avvertibile e fastidioso quel senso di finto che si percepisce con 15 milioni di budget a disposizione.

I protagonisti del film sono Banderas, l’agente assicurativo stile monaco tibetano, che raggiunge dei picchi di ilarita’ non aggetivabili in alcune scene (ai limiti dell’assurdo il walzer con Cleo…) che scopre di essere immune anche alle radiazioni oltre che al junk food desertico,  Cleo, il robot femmine platinato, in grado di simulare atti sessuali (stomachevole…) semplicemente “on demand”, Melanie Griffith, la moglie del nostro,  irriconoscibile (fisicamente e attorialmente) e i cattivi di turno tanto stucchevoli quanto patetici.

Purtroppo non si salva nulla e lo spettatore che dovrebbe uscire dalla sala con piu’ dubbi di quanto trailer e indiscrezioni avessero potuto suscitare, si trova con il sorriso sulle labbra per i siparietti “comici” nelle lande desertiche, la plasticita’ e costruzione delle scene topiche (l’imprevedibilita’ non e’ di casa Ibáñez),  la prova attoriale di Banderas che ha mostrato come sia meglio tornare a Zorro o nei panni di attori mascherati anziche’ della sua, di faccia, con espressioni forzate e lacrime di coccodrillo finte eoni.

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