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Breaking Point

Regia di Jeff Celentano vedi scheda film

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La recensione su Breaking Point

di Maciknight
6 stelle

E’ catalogato come film d’azione, ma rispetto a quanto ha sfornato la produzione USA in questi anni questo ha un ritmo quasi teatrale, per non dire lento, le scene d’azione ci sono ma centellinate e si svolgono con ampia prevedibilità. L’onda d’urto studiata per catturare da subito l’attenzione è iniziale, una scena di una crudeltà inaudita che farebbe presagire un film esasperatamente violento, ma poi si smorza e si trasforma quasi in un’opera teatrale, a spezzoni, con parecchi flashback (non propriamente necessari, quasi una lettura didascalica per gli spettatori disattenti), e dando più spazio ai protagonisti. Ad iniziare dall’avvocato penalista su cui si incentra la trama, ex drogato e depresso per tragedie di famiglia e relativo senso di colpa oltre che per il lutto, il quale per incuria (peraltro giustificata dalla morte del padre) trascura un suo cliente che viene rilasciato e ben presto viene incolpato di doppio omicidio. A questo punto l’avvocato deve darsi una mossa altrimenti rischia di venire radiato e rovinare ancor più la sua vita, affondando sempre più nell’autocommiserazione e nella paranoia (peraltro giustificata, considerando che il procuratore distrettuale che parrebbe essergli amico e preoccupato per le sue condizioni di salute, in realtà è un cinico ipocrita corrotto che lo vuole incastrare). Pertanto l’avvocato protagonista inizia a difendere il suo cliente indagando sulla dinamica dell’omicidio ed avvicinandosi sempre più al crudele spacciatore psicopatico che lo ha commesso ed a coloro che lo proteggono all’interno delle istituzioni giudiziarie. Più si avvicina alla verità e più cercano di incastrarlo ed anche eliminarlo.

I dialoghi sono impegnati ed appropriati, tutt’altro che superficiali ed approssimativi come in molti film del genere. I personaggi sono abbastanza ben delineati e credibili, alcuni rimangono impressi, come il giudice Green che inizialmente gli fa un solenne cazziatone per la sua sciatteria contingente e poi alla fine quando comprende la sua buona fede e come abbia saputo affrontare con dignità le avversità gli si rivela amico. Anche quelli più occasionali, per non dire istantanei, come la risoluta vecchietta che compare all’improvviso aprendo la porta di casa impugnando una doppietta, per difendere una donna aggredita dallo psicopatico (in praticamente tutti i film made in USA visti finora, mai nessuno apre la porta di casa per intervenire quando qualcuno all’esterno è in pericolo e richiede aiuto). La trama all’apparenza complessa in realtà si disvela lentamente senza difficoltà, intrecciando personaggi ed eventi in forma persino rallentata, in netto contrasto con la frenesia e sofisticata complessità che ormai domina il genere. Il ritratto della società americana che ne esce è come al solito poco lusinghiero, ma almeno emergono molte figure oneste e coerenti con la responsabilità istituzionale che si erano assunti, coniugandola con l’amicizia e la lealtà. Risulta un poco scoordinato nella tempistica dei flashback e nell’interconnessione di alcune scene e sequenze, con qualche perdonabile incongruenza finalizzata a drammatizzare, più consona ad una fiction a puntate che ad un film occasionale, soffermandosi troppo sulla sofferenza del protagonista e la sua pervicacia. Il finale è un tantino semplificato, vertendo sul cliché del trionfo dell’onestà e dei giusti (di cui è legittimo dubitare, soprattutto in ambiente USA e con i presupposti delineati). Ma nel complesso è un film dotato di una sua dignità.

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