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The Boy in the Plastic Bubble

Regia di Randal Kleiser vedi scheda film

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La recensione su The Boy in the Plastic Bubble

di OGM
6 stelle

John Travolta aveva ventidue anni e non era ancora famoso. Stava, però, per diventarlo. Il film successivo lo avrebbe trasformato in una star mondiale. Prima de La febbre del sabato sera, il futuro divo era un ragazzo belloccio che aveva recitato sopratutto in tv. Ma qualcuno doveva aver capito che con quel suo sorriso a mezze labbra, luminoso e fintamente ingenuo, poteva davvero fare strage di cuori, tra le mamme come tra le ragazzine. Niente di meglio, allora, che farne il protagonista di una favola a sfondo sentimentale, che nasce all’insegna della sventura, si trascina attraverso un giovanile tormento, ma poi sfocia nel solito trionfo dell’amore, Tod Lubitch è un bambino molto sfortunato: è venuto al mondo con una rara patologia genetica, che lo rende totalmente privo di difese immunitarie, Può sopravvivere solo in un ambiente asettico, che inizialmente sarà una capsula costruita intorno al suo lettino, e poi progressivamente si espanderà, fino ad occupare alcune stanze del suo appartamento. Via via che Tod cresce, si fanno sempre più pressanti gli stimoli  a rompere l’isolamento e stabilire normali rapporti con i suoi coetanei. Il problema è che ogni  minimo contatto con l’ambiente potrebbe causargli un’infezione mortale. Verranno approntati vari artifici per consentirgli di frequentare la scuola e, soprattutto, per permettergli di incontrare Geena, la sua vicina di casa, la quale, nei suoi confronti, prova dapprima una semplice curiosità, che si svilupperà presto in un affetto profondo. Le vicende reali da cui il film è tratto non hanno avuto, purtroppo, un lieto fine. Gli autori hanno voluto trasformare  i tragici casi clinici  dei piccoli  David Vetter e Ted DeVita in una struggente commedia sulla diversità, nella quale è giusto avere paura di tutto, ma è anche possibile accettare ogni sfida.  La convivenza con la malattia assume i contorni di un gioco, i cui strumenti vanno dall’interfono allo scafandro antibatterico. Sopra ogni cosa aleggia lo spirito un po’ timido, un po’ spavaldo dell’adolescenza, che tipicamente ondeggia tra il rifiuto di un mondo crudele e la voglia di osare, di infrangere le regole, a dispetto dei pericoli, e senza pensarci due volte. A dire il vero, in questo film, nel riso come nel pianto, sembra tutto troppo facile da capire: chiaramente individuabili e circoscritte sono le cause dei momenti di crisi, e con altrettanta  futile semplicità si scatena la gioia. L’effetto complessivo è rassicurante, soprattutto perché la sofferenza appare innaturalmente confinata negli aspetti superficiali della situazione, quelli legati ai risvolti pratici, che non toccano la profondità dell’anima. Ciononostante, il racconto è sensibile e attento alle sfumature emotive, non manca di singoli, gustosi spunti di fantasia, e risulta comunque accattivante, grazie all’acerba eppure fascinosa espressività dell’interprete principale.  

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