Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
C’è una diffusa malinconia nostalgica, nel cinema del nuovo millennio targato Vanzina. C’è un immaginario che è rimasto bloccato ai (per loro) favolosi anni 80 e 90 e, da allora, non ha fatto che cercare interstizi contemporanei nei quali accudire e preservare le memorie residuali della stagione degli Yuppies, delle Vacanze di Natale a Cortina, del Montecarlo Gran Casinò, dei Selvaggi e delle sfilate di Moschino di fronte alla stazione Centrale di Milano con Sotto il vestito niente. Non sorprende, dunque, che i protagonisti Marco e Claudio si ritrovino nel 1990 - adulti in corpi da adolescenti - in seguito a un incidente occorso loro dopo che Marco è stato lasciato dalla moglie. La domanda che anima la narrazione è: riuscirà Marco a cambiare gli eventi in modo tale da non giungere di nuovo al drammatico abbandono della coniuge? Ma il vero nucleo teorico (perché nel cinema dei Vanzina c’è sempre un nucleo teorico, con buona pace dei banalizzatori) è un altro: in questa versione 2.0 di S.P.Q.R. viene messa a tema l’impossibilità di uscire da un presente ormai scollato e sradicato dal proprio passato prossimo. L’oggettistica come suggestivo vintage, Maniac che risuona come mantra svuotato di senso, luoghi comuni snocciolati in dialoghi che attestano uno scarto insanabile («2.000 lire sono 1 euro: io ci andavo avanti una settimana»): l’uomo del terzo millennio non può uscire dall’oggi senza sentirsi alieno. Vanzina, finalmente, ne prende atto.
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