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Alaska

Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film

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La recensione su Alaska

di M Valdemar
5 stelle

 

locandina

Alaska (2015): locandina



L'Alaska dentro.

Claudio Cupellini congela il melodramma in una programmatica circolarità degli eventi, facendo scontrare la teorica geometria dei sentimenti e delle esistenze con la necessità di far quadrare e inscenare (il) tutto. Quando le cose vanno bene a Nadine (passa il provino da modella) a Fausto vanno male (paga un prezzo troppo alto per una sciocchezza e finisce in carcere), e viceversa: lei perde lavoro, stabilità e autostima a seguito di un incidente stradale, lui azzecca un investimento e fa la bella vita. Lo stesso per il finale, intuibile ben prima che il colpo di scena si palesi in tutta la sua carica tragica: i posti - le prospettive - cambiano, il sentimento tra i due vibra ancora. Nato magari da una premessa fragile (non convince che quel poco tempo passato insieme - e la disgrazia, e l'indole psicotica di Fausto - li leghi così, in particolare lei), attraversato da scariche di sciagure e da sbagli grandi e piccoli, interrotto e poi forse ripreso e dopo ancora pericolosamente vacillante tra due mondi fattisi via via più lontani. Eppure, prevedibilmente, vicini. Finché la storia rimane sospesa in quella indefinita/indefinibile zona nata dall'intersezione di queste due anime sole e sperdute, tuttavia il racconto regge: la reciproca comprensione dell'altro prelude alla nascita del legame, alla sua evoluzione (in ogni direzione). L'essenzialità dei dialoghi, la rarefazione emozionale (della quale fanno parte pure scoppi d'ira e scene madri), l'attrazione dei corpi, l'illuminazione naturalistica: il disegno ha forma, stile, senso. Ma non per molto (per un terzo, circa): le coordinate del mélo finiscono presto per soggiacere inesorabilmente alla pesantezza (nonché scarsa plausibilità, per taluni aspetti) delle scelte narrative, alle rigide logiche del dramma seriale (aumentano i personaggi, si accumulano fatti e tragedie, si trascinano le dinamiche di coppia, si cede all'enfasi e a derive da rappresentazione impegnata che sminuiscono la coesione e la forza del discorso, cosicché l'immagine è sempre più frastagliata e chiassosa, ma sempre studiata: come se dall'Alaska ci ritrovassimo al Sundance). L'attenzione per la storia di Nadine e Fausto rimane sì desta, ma crolla l'impianto formale, l'idea (dello sguardo, della distanza, dello scarto tra intensità del soggetto e tocco filmico); ed è un peccato, giacché Cupellini dimostra di saper disporre del mezzo. La ricerca stilistica, la messa in scena curata e varia fatta di campi-controcampi, riprese strette e movimenti della mdp immersivi (la sinuosa scena in piscina di Nadine), la splendida scaletta musicale nella quale si alternano brandelli originali, note classiche e indie-rock (tra i quali il misconosciuto formidabile trio nippo-italiano di stanza a New York, Blonde Redhead), la direzione degli attori. Splendidi entrambi: Elio Germano si muove più che a suo agio nel personaggio nevrotico, eccitato, rissoso di Fausto; Àstrid Bergès-Frisbey indossa magnificamente la fragilità e la sensibilità di Nadine. Ottima intesa la loro, ma non basta a salvare il film.

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