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Alaska

Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film

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La recensione su Alaska

di pazuzu
5 stelle

 

Il primo incontro tra Fausto (Elio Germano) e Nadine (Àstrid Bergès-Frisbey) avviene sul tetto di un albergo di Parigi: un albergo di lusso dove lui lavora come cameriere, mentre lei sta facendo un provino da modella; lui aspira a diventare maître, per guadagnare quattromila euro al mese, mentre lei, con i suoi vent'anni, a cosa fare da grande forse ancora non c'ha pensato. Quel primo incontro, però, finisce male: perché la visita alla suite da quindicimila euro a notte, da lui propostale per sentirsi, per una volta, come i ricchi che di solito serve al tavolo, si conclude con l'ingresso in stanza del legittimo affittuario e una colluttazione che conduce Fausto dritto dritto in carcere per lesioni volontarie. Ci trascorrerà due anni durante i quali lei lo aspetterà, perché, nonostante tutto, quei pochi minuti sono bastati a fiutarsi e a riconoscere, l'uno nell'altra, la stessa solitudine e le medesime fragilità.

 

 

Alaska di Claudio Cupellini parte bene: secco, godibile, con dialoghi spigliati e due attori affiatati che rendono da subito credibile la chimica tra i rispettivi personaggi. Ma la luna di miele con lo spettatore dura sì e no una mezzoretta. E ad interrompere quello che era stato un racconto fluido non è un episodio piuttosto che un altro, né tantomeno qualche passaggio a vuoto dovuto ad inerzia. Ciò che rende alla lunga sfiancante la visione di Alaska è, al contrario, la sua tendenza all'accumulo: perché Cupellini e i suoi co-sceneggiatori, Filippo Gravino e Guido Iuculano, ambiscono a farne l'epopea di un amore, e nelle due ore di durata spalmano cinque anni di tira e molla, spostamenti e cambiamenti, anche radicali, nelle vite di entrambi i protagonisti, ma con una fretta che spezza il ritmo e non aiuta ad empatizzare: il respiro del racconto, che si vorrebbe epico, si fa invece assai affannoso, e le varie evoluzioni - talvolta anche forzate - si inseguono senza sosta, ma senza nemmeno destare il minimo interesse. Il film di Cupellini, che dice di ispirarsi a Il Grande Gatsby di Fitzgerald, manca di senso della misura, e si perde alla distanza tra le proprie giravolte e i propri confusi e superflui colpi di scena.
Da rimarcare in positivo, oltre alla solita grande prova di Elio Germano, è senza dubbio la buona colonna sonora a (quasi) tutto indie rock, che assieme a una bella manciata di pezzi dei padovani Jennifer Gentle, chiamati a caratterizzare il suono del locale che dà il titolo al film (e attorno a cui ruota nella parte ambientata a Milano), ospita, tra gli altri, brani di Blonde Redhead, Interpol e Micah P. Hinson.

 

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