Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Sorrentino torna al tema della malinconia, proseguendo il percorso iniziato con La grande bellezza, suo film “testamento” ancor prima di compiere cinquant’anni. O meglio iniziatico... perché il suo Cinema è un andirivieni di suggestioni intrecciate alle riflessioni, spesso solo “abbozzate”, superficiali o “incapsulate” in dialoghi sentenziosi sul mistero della vita, che si snocciola in immagini diluite con la consueta magnificenza stilistica, che qualcuno può respingere, altri invece si lasceranno andare al flusso incantante d’ipnotici frammenti di “verità”. Un film sul tempo che scorre, che inafferrabile danza nella nostalgia, nella presa dolceamara di coscienza che il passato è lontano (emblematica in questo senso la scena con Harvey Keitel che “illustra” ai suoi allievi la dissonanza fra futuro e quel che dietro oramai pare quasi non scorgibile, in uno scorcio di Cinema che pare incorniciare a meraviglia il senso del film).
Un film che, sia chiaro, può non piacere, e lascia anche me sospeso nell’incertezza di un giudizio “oggettivo”. Oramai il Cinema di Sorrentino è trasparente, riconoscibilissimo nel suo distillato, ripeto, di macchiette che paiono più sincere di tante psicologie “profonde”, nella “lentezza” esasperante di frames allineati con mestizia, senza fretta, come un uomo che sorseggia pacato un tè alle prime ore lunatiche della sera. Bizzarro come al solito, divagatorio, non centrato su nulla, dispersivo, appunto frammentario e frammentato, ma forse per questo irrinunciabile in un’era ove domina il caos, ove impera frastornante il chiasso, ove il rumore zittisce invece lo stupefacente, magnetico silenzio.
Gli attori, egregiamente diretti dalla sua mano ponderata, intransigente per ciò che concerne i dettagli, fanno il loro bravissimo dovere, con menzione particolare per il “Mickey Rourke” giovane di Paul Dano, e per la “mostruosa” Jane Fonda, che in pochi minuti ruba la scena a tutti, sovrastando Keitel in un faccia a faccia che è Cinema nel metacinema, specchio di dolore, frattura spezzante la monotonia di un ritmo filmico che pareva “assordante”.
Un film da vedere, da rivedere. Non per ogni gusto.
di Stefano Falotico
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