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Youth - La giovinezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Youth - La giovinezza

di barabbovich
7 stelle

Due amici sull'ottantina - un direttore d'orchestra britannico ritiratosi dalle scene (Caine), al quale un emissario della Corona inglese chiede espressamente un ritorno sul palcoscenico, e un regista (Keitel) alle prese con la sceneggiatura destinata a diventare il suo testamento artistico - si trovano in un albergo di lusso sulle Alpi svizzere. Tra lazzi sul funzionamento della prostata e scommesse goliardiche, per i due è l'occasione per fare i conti con la propria vecchiaia.
Youth è un film quasi fantascientico, capace di guardare lontanissimo - come Harvey Keitel che mostra a Rachel Weitz la diversa prospettiva di un giovane e di un vecchio attraverso il cannocchiale - a quando al regista italiano indiscutibilmente più talentuoso di questa epoca verranno offerti riconoscimenti, tributi, premi alla carriera, chiudendo un occhio sugli eventuali passi falsi (This must be the place). È un'ipoteca per ostracizzare la propria maturità artistica attraverso una visionarietà profetica, il suggello di chi potrà dire di sé stesso che tutto era stato previsto, eventuale declino e attacchi da parte degli intellettuali compresi. In questo senso, Youth sembra essere un film implicitamente autobiografico (il dialogo sul ricordo sbiadito dei genitori richiama la condizione di orfano sia di padre che di madre che il regista ha conosciuto a 17 anni: i due morirono per una fuga di gas in casa). Sorrentino gioca a fare Sorrentino, il fuoriclasse della settima arte, il vincitore di un premio Oscar (strameritato) con La grande bellezza. E non è forse un caso che nel film il passare del tempo venga osservato attraverso il prisma non solo dei due protagonisti - uno apparentemente distaccato dal proprio passato, l'altro convinto di poter dare ancora il meglio a dispetto dell'età avanzata - ma anche di un giovane attore di grande successo (Dano) che deve la sua fama a un ruolo da robot nel quale gli si vede appena la faccia (ma il suo Hitler ricorda il führer di Cattelan) e, ancor di più, di un personaggio apparentemente secondario come il sosia di Maradona, l'epitome del doloroso passaggio da una gioventù che è stata gloria e piena bellezza (del talento) a un presente che riposa solo su ciò che è stato, nonostante la pancia enorme, la zoppia e l'estro sostanzialmente immutato (tra le scene indimenticabili del film, quella del suo palleggio infaticabile con una pallina da tennis). Attraverso questa densa quanto rapsodica riflessione sullo scorrere del tempo, il regista partenopeo sembra gettare un ponte ideale con La grande bellezza, insistendo sulla mediocrità del tempo presente, sull'estetica dei corpi, sulla caducità delle relazioni affettive sintetizzata nel contrasto micidiale tra le mani di un padre che non hanno mai accarezzato la figlia e quelle che, attraverso la tecnica del massaggio, sono capaci di indovinare gli anfratti più reconditi dello spirito. Così come Youth è un film sull'imperscrutabilità, almeno apparente, dei rapporti umani, epitomizzata dalla coppia che, a tavola, rimane costantemente muta per poi vivere coiti dirompenti in mezzo ai boschi. L'eccesso di virtuosismo - con squarci onirici notevolissimi e immagini memorabili - e di ambizione fanno però di Youth un film eccessivo, ai limiti del manierismo, il più filosofico dei lavori di Sorrentino ma anche uno dei più criptici e frammentari, disseminato com'è di simbolismi e personaggi borderline difficilmente intelligibili (dalla massaggiatrice con l'apparecchio ai denti alla giovanissima prostituta, passando per Miss Universo e la vecchia attrice mummificata interpretata da una Jane Fonda con paresi da botulino, tutte possibili espressioni di una diversa ossessione per il corpo e dell'inconsapevolezza del ruolo sociale di esso), il tutto inserito all'interno di una cornice extra-lusso non solo per via della location, ma anche per il funambolismo visivo (dietro c'è il numero uno della fotografia in Italia, Luca Bigazzi) e per le straordinarie intuizioni di regia (la direzione dell'orchestra di campanacci delle mucche, la musica prodotta con la cartina di una caramella Rossana, l'ingresso in piscina e la rassegna delle possibili attrici protagoniste del prossimo film di Keitel in primis), che lasciano però l'impressione di essere un po' fini a sé stesse, estetizzanti e inconcludenti.

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