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Youth - La giovinezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Youth - La giovinezza

di giancarlo visitilli
8 stelle

Si può scegliere di raccontare l’esistenza, dal punto di vista del dolore o del desiderio. Il Premio Oscar, Paolo Sorrentino, preferisce il desiderio, perché questo eleva. Youth – La giovinezza è un cinema che innalza. Corpo e spirito, sublimandoli.

Con Fred e Mick, due vecchi amici alla soglia degli ottant’anni, si ripercorrono alcune tappe fondamentali della loro esistenza, mentre trascorrono insieme le proprie vacanze in un elegante albergo in Svizzera. Fred è un compositore e direttore d'orchestra ormai in pensione e Mick un regista in piena crisi creativa.

Perfettamente consapevoli di come il loro futuro si vada velocemente esaurendo, i due uomini guardano con un misto di nostalgia, curiosità e tenerezza alla vita confusa dei propri figli, all’entusiasmo dei giovani collaboratori di Mick, agli altri ospiti dell’albergo e a chiunque sembri disporre di un tempo che a loro non è dato.

E mentre Mick si affanna nel tentativo di concludere la sceneggiatura di quello che ritiene poter essere il suo testamento artistico, Fred ha ormai da tempo rinunciato alla musica.

E’ il terzo film di Sorrentino sul tempo e il suo senso, che forse chiude una trilogia, da This Must Be The Place (2011) a La grande bellezza (2013). C’è sempre rimpianto, nostalgia, l’ineluttabilità di una fine che avanza e scandisce il tempo degli uomini e delle donne, attraverso la stasi. Sembra che da This Must a Youth il racconto sia unico. Eppure si tratta di un cinema che sembra allontanarsi sempre più da una narrazione classica, per tanto, il regista partenopeo rimane uno fra i pochi italiani (insieme a Saverio Costanzo) ad essere in grado di produrre film dall’ampio respiro europeo, come lo è Youth.

Infatti, in Youth – La giovinezza c’è maggiore meditazione, rispetto ai tempi dei personaggi come Gambardella o Cheyenne, invece scanditi da un incessante chiacchiericcio urbano. Qui ci si ascolta, facendo silenzio dentro di sé, per ascoltare solo la propria esistenza, quel che è stata, nella possbilità che qualcosa possa accadere ancora.

Attraverso una macchina che si muove allo stesso passo dei due amici anziani, ci si ritrova in momenti di grande danza visiva, sonora, in cui a perdersi è lo sguardo, avendo la sensazione di essere oltre, in alto, come avverrà per chi si è scelto, fra gli ospiti dell’hotel, il tempo utile per elevarsi da un circondario che non evita la grande bellezza delle passioni e dei desideri, sia quelli della carne, senza evitare la bellezza dello spirito.

Sorrentino, più di ogni altra sua opera, qui scarnifica, riducendo all’essenziale, quel che basta, i dialoghi, le discussioni e affidando ogni altra forma di narrazione, alle pause, ai silenzi, alla musica unz unz di contro a quella eterea, grazie alla quale si avverte la sensazione di perdersi  fra gli interminati spazi. Mentre tutto, nel frattempo, si fa profondissima quiete.

A battere il tempo e a pizzicare le corde, dell’anima, qui tocca ad eccellenti musicisti come Mark Kozelek e ai suoi Sun Kil Moon, capaci di un carisma che fa tutt’uno con le immagini.

Gli interpreti, tutti, non solo i magnifici Caine-Keitel-Dano, sono asfissianti per la loro credibilità. Con loro si rimane come in uno stato di continua sospensione, fra i vapori che riscaldano e leniscono i ricordi, soprattutto.

Youth ha una serie di sotto-testi, come quelli centrati sul senso e significato del cinema e della tv, insieme ai soliti personaggi che appaiono e scompaiono, come in altri film dell’autore, che ammiccano a uomini, in questo caso, che possiedono tutta la credibilità di cattive e obese vicende del nostro Bel Paese. Sorrentino, in questo è maggiormente vulnerabile, tentato dall’irresistibile tentazione della leggerezza, consapevole di come si può ammettere che “le emozioni sono sopravvalutate”, ma anche che ciò sia “una vera stronzata”, perché “le emozioni sono tutto quello che abbiamo”, sia che si scelga di lasciarsi cadere, ma anche quando si atterra su terre non conosciute. Tutti, come fossimo comparse.

 

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