Regia di Heilika Pikkov vedi scheda film
Nel convento russo del Monte degli Ulivi il tempo è scandito da movimenti piccoli, cadenzati, ipnotici: un martello batte sul chiodo, la campana bussa senza fretta. Esterni monastici bianchissimi sono tagliati da figure nerovestite in una naturale coreografia quotidiana, mentre il paesaggio urbano sottostante sfuma in una notte opaca. Madre Ksenya, nata in Estonia ma figlia di nessun luogo, sta per indossare il grande abito che coincide con il voto del silenzio. Le sue ultime parole sono il racconto di un passato più avventuroso di quanto si possa immaginare guardandola intrecciare fili di perle e recidere con perfetta pazienza fiori dagli steli.
Camera fissa sul volto gentile, appena increspato dal ricordo di una famiglia d’origine problematica e di un amato figlio adottivo, il film di Heilika Pikkov crea una narrazione avvincente sul montaggio lieve di polaroid e voce. La memoria di madre Ksenya è lucida e quieta, mai rancorosa e spesso percorsa da un sottile umorismo che non dispensa dal giudizio il proprio operato. Due matrimoni, molti fidanzati, tempi bui di dipendenza e illuminanti scatti d’emancipazione, una guerra combattuta senza sparare e 23 anni impegnati nella ricerca sul cancro («Non scoprii nulla, ovviamente»). La vera scoperta del doc è una figura di donna garbata e potente, che conosce la vita e non la rinnega: come per i petali secchi che resuscita in découpage di nuova bellezza, dispone in ordine le fotografie e pratica una salvifica intersezione tra azione e contemplazione. Con la saggia lentezza della tartaruga.
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